Martinelli (Albe): «Maryam è la donna dell’incontro, un ponte tra due religioni»

Il regista presenta lo spettacolo ospitato al Ravenna Festival sulla Maria del mondo islamico

8.Maryam (foto E. Fedrigoli)

Aveva debuttato nel gennaio del 2017 a Napoli. Dopo più di un anno, il monologo delle Albe dedicato a Maryam, la Maria del mondo islamico, torna a casa al Rasi di Ravenna, ospitato all’interno del Ravenna Festival. Ne abbiamo parlato con Marco Martinelli, regista dello spettacolo scritto dall’autore lombardo Luca Doninelli e interpretato da Ermanna Montanari, per capire meglio come interpretare questa complessa figura religiosa che riesce ad accomunare i fedeli di due culti ritenuti sempre più distanti.

Luca Doninelli ha scritto il testo appositamente per il Teatro delle Albe, giusto?
«Luca aveva già scritto un “San Giovanni” per Sandro Lombardi e un “Giuda” per Massimo Popolizio; ha voluto completare la trilogia con un ritratto di Maria, affidandolo alla voce di Ermanna».
Come avete affrontato il testo?
«In realtà, quando Luca ci ha inviato la prima stesura del testo, l’abbiamo rispedita al mittente! Stimiamo tantissimo Luca, come persona e come autore; ma alla prima lettura non abbiamo sentito il teatro. Si rischiava di parlare solo di teologia, di fare catechismo. Lui è stato molto paziente con noi, lo ha sempre detto che lavorare a questo monologo è stata per lui una scuola. Insomma, in maniera un po’ crudele, abbiamo rifiutato altre quattro o cinque versioni. Quindi ci siamo incontrati da lui, a Milano, e abbiamo cercato di capire cosa non funzionasse e perché».
Cosa avete capito?
«Luca ci raccontò del suo viaggio a Nazareth, alla Basilica dell’Annunciazione. Là aveva visto le donne mussulmane andare a pregare Maria – che loro chiamano “Maryam”, come recita la 19° sūra del Corano. Abbiamo capito che quello doveva essere il punto di partenza: le preghiere terribili di queste madri. C’è chi chiede vendetta, chi chiede castigo, chi chiede disperatamente la ragione della morte del figlio. Così, assieme a Luca, abbiamo trovato la strada della scrittura e sono nati i quattro monologhi: tre preghiere e un momento finale, quello dell’apparizione della stessa Maryam».
Da questa partenza, come vi siete mossi?
«Una volta trovata la strada giusta, abbiamo lavorato di alchimia per comporre il testo con gli altri linguaggi che lo formano: la musica di Luigi Ceccarelli, la regìa del suono di Marco Olivieri, l’impianto visivo (scena, costumi, diapositive), anche grazie all’apporto di Tahar Lamri».
Come vi ha aiutato Lamri?
«Assieme a lui abbiamo deciso di utilizzare la scrittura coranica, che è diventata un elemento visivo fondamentale per questo spettacolo. Grazie alla sua traduzione del testo uno spettatore di lingua araba può seguire il flusso delle storie. Ma c’è anche un uso della scrittura che diventa quasi un elemento di fascinazione divina: durante lo spettacolo, ad esempio, la parola “misericordia” viene montata come un vero quadro, come un’icona visiva».
Chi è Maryam per voi?
«Maryam è la donna dell’incontro. È un ponte tra due religioni. Abbiamo sentito la necessità di fare questo lavoro perché viviamo in un momento storico in cui, per diverse ragioni, il sacro e la violenza sono spesso la stessa cosa. Si uccide il nome di dio, laddove dio ha sempre detto il contrario, dal nostro punto di vista. È una questione di interpretazione».
Maryam offre una consolazione a questo dolore?
«Maryam non offre né consolazione, né giustificazione. Doninelli, da credente, scrive una cosa che potrebbe stupire altri cristiani. A un certo punto Maryam dice che non ha mai perdonato Dio per aver fatto morire suo figlio. Per questo motivo, davanti al dolore inconsolabile delle altre madri, dà loro un abbraccio, un bacio. Sa che possono amarla proprio perché lei non ha tirato giù dalla croce suo figlio. Se l’avesse fatto, non sarebbe altro che una beata, una potente tra le altre, una privilegiata. Così le madri la amano di un amore sconosciuto ai macellai, ai becchini, ai sommi sacerdoti, ai procuratori generali. Maryam offre un amore sconosciuto al potere. Non si tratta di consolazione: è l’abbraccio che tutti ci diamo davanti alla morte».
Il tema del Ravenna Festival di quest’anno è tratto dalla famosa frase di Martin Luther King, “I have a dream”. Qual è il sogno che porta questo testo?
«Una delle nostre immagini guida, da sempre, è proprio una frase di Martin Luther King: “Anche se sapessi che domani il mondo verrà fatto a pezzi, pianterei comunque un melo”. Esattamente questo ci dicono i Vangeli da duemila anni a questa parte: in mezzo alle violenze, dobbiamo tenere viva la possibilità di un’esistenza diversa. Questo è il sogno che portiamo».

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