Uno “sconcerto” per i diritti fondamentali: «Ancora troppi non sono rispettati»

Agata Tomsic e Davide Sacco di ErosAntEros sullo spettacolo che portano in scena al festival Polis

Erosanteros Sconcerto Per I Diritti Foto Di Manzini

Agata Tomsic in “Sconcerto per i Diritti” (foto Manzini)

Raggiungo Agata Tomšič e Davide Sacco, in arte ErosAntEros, al telefono. Infuriano le preparazioni per il loro festival Polis, composto in fretta e in urgenza, come ormai da un anno la gestione politica della pandemia impone agli operatori del teatro. E se, mi confessano, il Covid ha colpito duramente la loro attività, fra cancellazioni di tournée già organizzate e vuoti burocratici assurdi, rimane tuttavia salda la bella notizia di un festival di teatro indipendente, un segnale positivo per tutti i nostalgici delle scene. «Bisogna essere pazzi per organizzare un festival in così poco tempo e con così poche forze!», scherzano.

Assieme ad Agata e Davide ho parlato del loro spettacolo Sconcerto per i diritti, produzione risalente al 2019 che, per la prima volta, arriva a Ravenna il prossimo 14 maggio, alle 20, al teatro Alighieri; una sorta di costola del progetto internazionale Confini, che debutterà invece a luglio per Ravenna Festival (info su programma e biglietti: polisteatrofestival.org).

Sconcerto per i diritti era già pianificato per l’anno scorso, giusto?
Agata:
«Ha debutto a ottobre del 2019 al teatro Studio di Scandicci, dopo aver vinto un bando del Teatro Nazionale della Toscana. Dopo qualche replica in Puglia, avevamo una tournée pianificata per il 2020 in varie città italiane, che iniziava il 24 febbraio, nata per festeggiare i nostri primi dieci anni di compagnia. Ovviamente saltò tutto; qualcosa è stato recuperato, altre date sono invece ancora incerte. Oggi recuperiamo Sconcerto per questa edizione di Polis».

Questa e l’altra vostra produzione, Confini, si possono considerare quasi due spettacoli “gemelli”: entrambi ruotano attorno all’Europa e alla difesa dei diritti umani. Come mai?
Davide:
«Sconcerto nasce durante una residenza artistica che avevamo vinto con il progetto Confini, come diceva Agata. Confini parla della storia dell’Unione Europea, dalla sua fondazione al suo futuro, e lo fa attraverso le vicende biografiche degli italiani emigrati in Nord Europa per lavorare nelle miniere e nelle acciaierie. In questo percorso di ricerca multilingue, che vede in scena tanti attori europei e scritto assieme a un autore lussemburghese, Ian De Toffoli, in Toscana abbiamo deciso di concentrarci sulle figure di queste due donne venute dal futuro. Abbiamo esplorato il rapporto performativo fra voce e suono, incentrando la ricerca sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Poco a poco ci siamo accorti che stavamo componendo uno spettacolo autonomo. Così è nato Sconcerto, che vedeva in scena soltanto Agata e Silvia Pasello, una vera maestra del teatro italiano: si tratta di una performance che include voce e suono, creato percuotendo due lastre d’acciaio – omaggio alla nascita dell’Unione come CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che poi manipoliamo con strumenti di live electronics. Per questo debutto ravennate non è stato possibile avere con noi Silvia, ma siamo riusciti a sostituirla degnamente ed eroicamente, visti i tempi, con Emanuela Villagrossi».

Chi sono queste due figure dal futuro?
Davide: «Sono due ricercatrici, forse due archeologhe, che atterranno a Bruxelles su un pianeta ormai disabitato per disastri ecologici. Fra i reperti che ritrovano, c’è la Carta dei Diritti, e cercano di capire di che si tratta. È una forma narrativa molto semplice, basata sulla lettura degli articoli della Carta, che va a formare un concerto assieme al suono dell’acciaio percosso. C’è poi un terzo elemento, molto importante: i disegni di Gianluca Costantini, artista da sempre impegnato nella descrizione della realtà, che fanno vedere concretamente come molti di questi diritti, in Europa, non siano ancora oggi rispettati».

Tema molto dibattuto, anche per la Costituzione Italiana. La lettura degli articoli rischia di essere complessa per lo spettatore
Agata:
«Trattandosi di un lavoro performativo, l’esecuzione sarà molto libera. Non ci interessava rispettare il linguaggio giuridico, ma l’amalgama fra voce e suono. Abbiamo deciso di lavorare su questa Carta per riflettere su cosa sia diventata la nostra Unione. Un’Europa-Fortezza, dai confini chiusi, invalicabili, circondata da un mare che è diventato un cimitero. Siamo partiti dai testi di Alessandro Leogrande e di Donatella Di Cesare per capire cosa sta succedendo a questo continente che ancora non ha raggiunto un’unità politica».

Altro tema fondamentale, questo: la precedenza che in Europa si è data all’unità economica su quella politica è considerata spesso la radice di tutti i mali europei.
Agata:
«Durante la residenza a Scandicci, il sabato mattina andavamo a intervistare gli avventori del mercato. Chiedevamo se conoscevano la Carta dei Diritti europei: la cosa interessante è che la maggioranza delle persone non sapeva neanche della sua esistenza! Come dicevi, l’Unione Europea, per l’opinione pubblica, è un’organizzazione puramente economica. Sapere che c’è una carta europea che tutela questa diritti, divulgarla, accendere un senso civico e civile attorno a questi articoli, è per noi molto importante».

Quali altri diritti fondamentali vengono disattesi in Europa, oltre a quelli dei migranti?
Davide:
«Ce ne sono tantissimi, ahimè. La libertà dei media: è impressionante quanti giornalisti sono stati uccisi in Unione Europea negli ultimi anni. Sono cose che siamo abituati a sentire lontane, e invece succedono a casa nostra. Oppure pensiamo alla tortura: il caso di Stefano Cucchi è esemplare».

Avete usato altri materiali oltre alla Carta per la scrittura di questa drammaturgia?
Agata:
«All’interno dello spettacolo ci sono due citazioni per me molto importanti. Il primo frammento è tratto dall’Eneide. Citando gli articoli 18 e 19 della Carta, ovvero quelli che sanciscono il diritto d’asilo e il divieto delle espulsioni collettive, disattesi praticamente tutti i giorni, abbiamo pensato di usare un estratto dell’Eneide che racconta di un naufragio nel Mediterraneo. Un modo per condividere col pubblico, attraverso la parola poetica, questa ferita antica che ci portiamo dietro e continuiamo a provocare. L’altro frammento, invece, viene dalle Lettere a Lucilio di Seneca: un inno all’uguaglianza dei popoli, per offrire un momento di speranza dopo tanto dolore».

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