Dopo le primarie: il Pd sarà acciaccato, ma resta il Pd

Se non ci fosse stato il voto del referendum si potrebbe leggere il quasi dimezzamento degli elettori ravennati alle primarie come un fatto fisiologico più o meno in linea con quanto sta accadendo da tempo. In fondo le primarie sono elezioni interne a un partito, un atto volontario, se la gente non va a votare per il sindaco (al ballottaggio del 2016 nel capoluogo andò cica un ravennate su due, per il presidente della Regione si arrivò poco sopra il 40 percento), figuriamoci se ci va per il segretario di un partito, senza sapere nemmeno   quando ci saranno le elezioni e con che legge elettorale. Ma il referendum costituzionale è dietro l’angolo e portò anche a Ravenna tantissima gente al voto, come non si vedeva da tempo. E, fatto ancora più interessante, la portò a votare per oltre la metà per il Sì in controdenza con il voto nazionale.

Ma oggi, rispetto al voto nazionale, qui la partecipazione cala di più e il segretario prende di più. Cosa è successo nel mezzo? C’è stata la scissione. Ravenna è la città di uno dei pezzi da Novanta che ha detto addio (anzi «arrivederci») al Pd,  Vasco Errani. Ma non può essere sufficiente. E c’era anche il ponte del Primo maggio, certo. Ma c’era anche nel resto d’Italia. C’è stata soprattutto, forse, la sensazione di un voto già scontato, di una gara inesistente sia tra i fan di Renzi sia, forse soprattutto, tra chi di Renzi farebbe anche basta. Perché il dibattito e il confronto è apparso soprattutto una questione interna al partito che fuori interessa poco (e se c’è qualcuno che può essere deluso in queste ore, da queste parti soprattutto, sono proprio i sostenitori di Orlando). Quando, invece, come nel referendum, il voto diventa non scontato e cruciale, la gente va ancora in massa a votare.

E da queste parti vota come dice il Pd in maggioranza, ma una maggioranza sempre più risicata. Lo si era del resto visto bene a Faenza e Ravenna nelle ultime amministrative. Dunque questo calo dei votanti alle primarie Pd va forse letto anche in questa scia che mostra come ormai anche questa roccaforte che fu del Pci è contendibile. Se ci fosse qualcuno in grado di contenderla. Il vero problema (per tutti, anche per gli stessi democratici) è che non c’è e che il Pd per quanto acciaccato, ridotto nei numeri, scisso, resta l’unica realtà organizzata e radicata in grado in una domenica di ponte di aprire 91 seggi in tutta la provincia e organizzare, almeno da queste parti, un voto senza strascichi polemici, senza recriminazioni tra i partecipanti (a differenza di quanto accaduto altrove) e portarci comunque 22mila persone. Che sono sì la metà di quattro anni fa, ma sono comunque tante. Il punto è: per quanto ancora potrà farlo? E, soprattutto, quale vera alternativa si vede all’orizzonte?

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