L’emblematica vicenda dell’appalto sul sangue

Il caso dell’appalto vinto da Copura per il traporto sangue (vedi pag. 6) ha qualcosa di molto emblematico e che forse, se letto in controluce, dice molto di un intero sistema che da tempo vacilla e su cui invece si è storicamente fondata la ricchezza anche sociale di questo territorio. Quando una cooperativa vince un appalto pubblico perché offre un risparmio e questo risparmio viene effettuato proponendo ai lavoratori condizioni peggiorative rispetto alle precedenti c’è forse da riflettere. L’anno scorso abbiamo visto il caso di Hera, società a maggioranza pubblica, costretta a fare marcia indietro rispetto a un appalto vinto da una coop esterna al massimo ribasso. Anche in quel caso a pagare un prezzo furono lavoratori assunti e rimasti pochi mesi dopo senza prospettive. Tante volte sono state denunciate le condizioni sempre più precarie di lavoratori dell’industria in coop vere o false a cui privati esternalizzano servizi. In questo caso, però, la cooperativa è vera e storica, Copura appunto, più che mai del territorio, più della concorrente Plurima. Eppure vince riducendo garanzie e stipendi di lavoratori, anch’essi del territorio. A cosa serve tutto ciò? A realizzare un risparmio di qualche decina di migliaia di euro dell’Ausl, cioè un’azienda pubblica in una regione a guida Pd. Quel Pd che al governo è rappresentato da un ministro che è stato il presidente nazionale di Legacoop e a cui dobbiamo la legge sul Jobs Act e una regolamentazione dei voucher che ora in molti contestano anche dentro il Pd. Un corto circuito in cui la politica sembra non avere una visione complessiva, sembra non considerare semplicemente inaccettabile per la propria storia e i propri principi (in molto simili peraltro e nati dalle stesse radici da cui sono nate le cooperative) far pagare il conto a lavoratori da 1.300 euro al mese che da un giorno all’altro rischiano di finire sotto la soglia minima necessaria a mantenere una famiglia. Peraltro, continuare a distribuire lavoro a basso costo non potrà alla lunga che finire per ingrossare la fila di chi pagherà giocoforza meno tasse e magari avrà bisogno di un aiuto dalla collettività. E se con i privati e le grandi industrie forse (forse) gli antidoti sono più difficili da trovare, quando il committente è pubblico e l’imprenditore in questione è una cooperativa è più difficile capire l’applicazione tout court di leggi di mercato che sembrano considerare il lavoro un costo e non una risorsa, il lavoratore un peso e non un cittadino che attraverso competenze e prestazioni contribuisce al funzionamento di un servizio (peraltro essenziale) e garantisce a se stesso e alla propria famiglia una vita dignitosa. Toccherà invece prenderne atto, così è. E a chi si vuole dire di sinistra la cosa dovrebbe lasciare molto amaro in bocca.

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