Tutto il paradosso della famiglia in pandemia

Quante cose si sono disvelate nella loro ingiustizia e insensatezza in questa pandemia. I tagli alla sanità pubblica, la riduzione delle risorse agli enti che si devono occupare di edilizia scolastica, il lavoro sottopagato, in grigio se non in nero. I lavoratori pubblici sempre e comunque più protetti di quelli del privato. E poi, naturalmente, come sempre, come in ogni occasione, il divario tra uomini e donne.

Nodi che per la verità erano al pettine già da tempo e di cui solo un ipocrita potrebbe sorprendersi ora. Ma è così: se i figli restano a casa da scuola, saranno le donne a rinunciare al lavoro perché mediamente pagate meno degli uomini e mediamente sono pagate meno degli uomini anche perché hanno avuto una carriera più discontinua a causa di quei figli. Un discorso lungo e sempre uguale a se stesso, che affonda le radici in una concezione che affida comunque il ruolo di cura alla donna, in tutti i sensi, e che non può privare l’uomo del suo ruolo economico, pena la vergogna e l’inadeguatezza.

Ma paradossalmente, accanto a questo c’è anche l’incapacità di leggere la società per come si è evoluta proprio anche (ma non solo) per le mancate politiche sulla famiglia. Allora nel paese in cui i figli sono la prima causa di povertà per un nucleo famigliare, e dove quindi di figli se ne fanno pochi, pochissimi (soprattutto si fanno pochissimi secondi e terzi figli, soprattuto chi sceglie la famiglia comunque non può permettersela numerosa), succede addirittura che circa un terzo dei nuclei è costituto da una sola persona.
E quella persona in fase 2 può andare a trovare i parenti di sesto grado. Che per chi non è giovanissimo, chi viene dalle famiglie ancora numerose del primo dopoguerra potrebbero arrivare ad ammontare a svariate decine di persone totalmente sconosciute.
Ma invece non può andare a trovare l’amica trentennale, la compagna di liceo, quella che in questi due mesi si è accertata, dalla sua casa in cui vive sola, che tu sia stata viva in tutti questi giorni del lockdown, chiusa in casa da sola.

Ecco. Riscopriamo i parenti al momento del lockdown, ma ci dimentichiamo delle famiglie quando si parla di politiche attive. Il sindaco di Ravenna De Pascale è stato tra i primi a portare avanti il tema dell’apertura dei servizi più piccoli, anche in quest’ottica. Bravo. E a togliere le rate di servizi non usufruiti alle famiglie. Bravo di nuovo. Ora naturalmente il rischio è il paradosso che se si riaprono solo i servizi 0-6 anni tutte le educatrici che hanno figli di 6-12 si ritrovino in difficoltà. Ed è facile pensare che in Comune siano al lavoro anche per sventare questa ipotesi.

Ma i segnali dal governo sono pessimi, quando non assenti. A cominciare dai 600 euro, uguali per tutti, figli o non figli a carico. E questo accade anche perché, appunto, alla fine i figli sono pochi e sono un peso. Pensate che bello se non ci fossero, avremmo risolto anche l’annoso problema delle scuole. Pensate per un momento a immaginare un mondo in cui la persona più giovane ha 50 anni perché piano piano tutti hanno smesso di fare figli.
Questa pandemia, con l’impoverimento che porterà di nuovo soprattutto sulle famiglie, potrebbe essere un passo in questa direzione.

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