Il processo del secolo, Cagnoni e l’eleganza

Andrea AlberiziaIn una città come Ravenna, abituata a bagatelle giudiziarie di dimensione provinciale, si potrebbe quasi arrivare a scomodare l’iperbole di “processo del secolo” per il dibattimento che vede alla sbarra Matteo Cagnoni con l’accusa di aver ucciso nel 2016 la moglie Giulia Ballestri da cui si stava separando. L’uomo rischia l’ergastolo (questa la pena che chiede il pubblico ministero contestando l’accusa di omicidio volontario con le aggravanti di crudeltà e premeditazione) e il processo di primo grado davanti alla corte d’assise è arrivato al rush finale: tra il 12 e il 22 giugno si concentrano quattro udienze in cui trovano spazio requisitoria dell’accusa, parti civili, arringa difensiva, conclusioni e camera di consiglio.

Dichiararlo colpevole o innocente spetterà alla corte (due giudici togati e sei popolari, che secondo la Cassazione possono esprimersi senza condizionamenti ambientali come invece sosteneva il collegio difensivo che aveva chiesto il trasferimento) ma ventisei udienze celebrate in nove mesi e tutto il contorno fuori dall’aula possono già consentire a chiunque di farsi un’idea dell’imputato. Non tanto sul fatto che abbia commesso o meno quel delitto. Ma piuttosto su un aspetto a cui l’uomo ha sempre dato molta importanza: l’immagine di sé proiettata all’esterno.

Lo ha detto il suo psicologo in aula che il dermatologo era un narcisista ossessionato dall’apparenza. E suona quindi beffardo pensare che la coppia entrò nella villa dove poi la donna è stata uccisa per scattare foto a un quadro chiamato Narciso e proprio su quell’opera del pittore Samorì sono finiti gli schizzi di sangue del primo colpo di bastone che secondo l’accusa avrebbe dato via alla mattanza. Quel quadro che era stato portato via dalla casa coniugale perché a Giulia non piaceva vederlo durante una gravidanza.
Ma quale immagine ha dato di sé? Nel look senza dubbio elegante. Non ne ha fatto mistero nemmeno lui di quanto gli piacesse andare vestito alla moda e di quanto gli piacesse cambiare abiti anche più volte al giorno (a suo dire è per questo che è vestito diversamente il giorno dell’omicidio e non per liberarsi di abiti insaguinati). Ma l’eleganza dei modi? Su questa è scivolato più volte. Certo, fronteggiare un processo per omicidio in regime di custodia cautelare in carcere può sfiancare chiunque, soprattutto il rampollo di una famiglia agiata.

Ma la storia è piena di presunti omicidi rimasti seduti in aula come educati scolaretti. Non Cagnoni. Gli insulti alla suocera. Gli sbotti durante le testimonianze sgradite. Le allusioni nelle decine e decine di lettere inviate a giornali e amici dal carcere. E soprattutto il ricordo della moglie nella sua audizione. Sì, qualche parola addolorata. Ma tanta voglia di adombrare il sospetto di una moglie che vaneggiava attriti familiari a suo giudizio inesistenti e che aveva più di un amante. Addirittura il colpo basso, affondato per tramite dell’avvocato, su certe presunte abitudini giovanili. Insomma, nulla da dire sulle cravatte ma forse l’eleganza è soprattutto altro…

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