Perché Matteo Cagnoni è tornato a Ravenna?

La petizione lanciata on line da Udi, Linea Rosa e dalla parte dei minori per chiedere che “Matteo Cagnoni sia trasferito da Ravenna” in pochi giorni ha raccolto tremilasettecento firme.
È rivolta al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), al Ministro della Giustizia e agli altri soggetti interessati, dopo che il dermatologo ravennate condannato all’ergastolo in primo grado per aver ucciso la moglie Giulia Ballestri ha chiesto e ottenuto di poter tornare nel carcere di Ravenna. Il tutto peraltro avvenuto, con una concomitanza che ha del paradossale, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Ed è effettivamente difficile non concordare con le questioni sollevate dalle associazioni che erano state ammesse come parti civili al processo.

Non c’è bisogno di essere forcaioli o giustizialisti per stupirsi di quanto accaduto. Perché davvero è difficile non pensare che a lui, proprio a lui, sia stato concesso un privilegio.
Se fosse stato trasferito in un ospedale carcerario per curare gli attacchi di panico di cui ci raccontano che soffre sarebbe stato più semplice da capire. Se un detenuto ha problemi di salute va curato, come chiunque altro.
Ma permettergli di tornare qui, in una struttura che, lo abbiamo scritto mille volte e forse più, è pensata per accogliere persone con pene inferiori ai cinque anni da scontare, cosa c’entra con la salute?
E anche: quanti altre persone recluse alla Dozza di Bologna potrebbero beneficiare di collocazioni alternative? Il problema era forse, come abbiamo letto, la difficoltà dei colloqui con i parenti?
Ma è forse un problema di Cagnoni e nessun altro? E davvero a tutti gli altri viene riservato un simile trattamento?

E poi c’è anche da chiedersi, perché tornare proprio a Ravenna? In fondo, lo sappiamo bene perché secondo quanto emerso durante il processo lì era andato a rifugiarsi subito dopo il delitto, i suoi genitori stanno a Firenze.
A Ravenna invece abitano ancora i suoi figli, su cui ha perso la patria potestà, quei tre bambini che ha reso orfani della loro madre.
C’è da sperare almeno che nel prendere questa decisione così sorprendente almeno la famiglia di Giulia, le vittime rimaste vive e chi di loro si occupa oggi, siano state avvisate, se non interpellate, No, non sarebbe come chiedere ai parenti di una vittima di esprimersi al posto di un giudice, in un caso come questo, così fuori dall’ordinario, potrebbe essere solo una tutela per la parte più debole che nulla toglierebbe ai diritti del carcerato.

C’è ancora tempo per firmare la petizione. L’obiettivo delle 5mila firme può essere facilmente superato.

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