Violenza e femminicidi tra podcast e case rifugio piene

Andrea AlberiziaÈ uscito nei giorni scorsi un podcast di cinque puntate, scritto dalla giornalista Selvaggia Lucarelli, che riporta all’attualità l’omicidio di Giulia Ballestri, la 39enne uccisa nel 2016 dal marito Matteo Cagnoni, noto dermatologo condannato all’ergastolo.

Ma oltre al podcast, a ricordarci quanto il tema della violenza di genere sia attuale ci pensano anche i numeri resi noti quasi in contemporanea dall’associazione Linea Rosa che ha appena rinnovato la collaborazione nata 25 anni fa con il Comune di Ravenna proprio per fornire assistenza a donne vittime di violenza (ora il servizio si estende anche a Cervia e Russi e le case rifugio sono diventate cinque).

Nell’ultimo anno sono state 448 le donne che si sono rivolte al centro antiviolenza, numero in netto aumento rispetto alle 392 del 2023. La fascia di età maggiormente coinvolta continua a essere quella che va dai 30 ai 45 anni e rimane stabile il dato delle donne con figli che si attesta circa sul 65/70 percento. Anche i dati riguardanti la provenienza confermano la tendenza del 2023: circa il 30 percento delle donne che chiedono aiuto al centro sono originarie di altri Paesi. Attualmente le cinque case rifugio sono piene.

Come sottolinea Lucarelli nel suo lavoro, a una delle iniziative pubbliche di sensibilizzazione promosse nel tempo da Linea Rosa prese parte anche Cagnoni. Come dire che il femminicida può annidarsi ovunque, anche tra chi è fornito di mezzi economici e culturali e, almeno a parole, si dichiara attento al rispetto della persona.

Da quel delitto sono trascorsi nove anni in cui la provincia ravennate è stata teatro di altri due efferati femminicidi con similitudini con il caso Ballestri-Cagnoni: Elisa Bravi uccisa nel 2019 a Bagnacavallo (ergastolo per il marito Riccardo Pondi) e Ilenia Fabbri nel 2021 a Faenza (ergastolo per il marito Claudio Nanni mandante e il killer Pierluigi Barbieri).

E proprio il caso di Fabbri ci ha anche detto che a volte non basta la richiesta di aiuto. La 46enne seguì tutti i consigli forniti da chi si occupa di violenza di genere: ne parlò con gli amici e le amiche, i più intimi e i più superficiali; ne parlò con l’avvocata che la seguiva per la separazione e le fece vedere le foto dei postumi di una presa al collo; fece denunce alle forze dell’ordine; si rivolse a un centro antiviolenza faentino. Tutti sapevano tutto. Ma lei è morta.

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