Da via Faentina all’Isis: il foreign fighter tunisino passato per Ravenna

Storia di K. nella testimonianza di alcuni conoscenti: «Qua non si era integrato e si è arruolato. Era riservato, non frequentava la moschea»

jhadistiLa storia di K. è conosciuta nella comunità tunisina di Ravenna. Abitava in via Faentina e adesso è in Siria a combattere nelle file dell’Isis. Girava in città con lo sguardo fisso a terra e un grosso giubbotto rosso e ora è nel califfato, vestito di nero e armato di kalashnikov. A parlarci di lui è Samir, che incontriamo in un parco, assieme a un gruppo di ragazzi tunisini: «Lo conoscevo, ma non ero un suo amico». Entrambi nati a El Fahs, come molti dei tunisini che vivono a Ravenna, «K. però non era un tipo molto socievole, soprattutto negli ultimi tempi».
Nel rapporto dell’intelligence italiana diffuso da “Il Corriere della Sera“ in agosto si cita Ravenna tra le città italiane da cui proverrebbe quella cinquantina di arruolati nell’Isis ormai noti con l’espressione inglese di foreign fighters (combattenti stranieri). Chi lo conosce descrive K. come un ragazzo molto giovane, riservato, che non parlava molto e non era ben integrato, molti lo conoscevano di vista perché viveva in città da tempo.

Anche Moustapha: «In moschea? No, in moschea non l’ho mai visto, non la frequentava, sono sicuro. Da quando aveva perso il lavoro, due anni fa, era molto giù di morale. Non riusciva a trovare un altro impiego e la famiglia in Tunisia gli chiedeva di mandare dei soldi che non aveva». Poi è arrivato il foglio di via. «Lo hanno trovato senza documenti. – continua Samir –. All’inizio era in regola, poi senza lavoro il visto è scaduto. I soldi erano finiti. Così è tornato a El Fahs». Probabilmente è lì che ha trovato il contatto diretto con i jihadisti. «Tornare in Tunisia per chi ha vissuto in Europa è molto dura. È una grande sconfitta e la comunità ti considera quello che ha provato ad avere successo ed ha fallito. Lì si era depresso molto, poi ha preso la decisione di partire. La maggior parte di quelli che vanno a combattere con l’Isis sono stati in Europa e hanno storie simili alla sua». Ma aveva mai parlato dell’Isis prima? «Non bisogna vedere l’Isis con gli occhi dei giornali occidentali. Per lui l’Isis è un simbolo di riscatto». In che senso? «È un Paese in cui i sunniti sono riusciti ad auto governarsi, a creare uno Stato e fare addirittura paura agli Stati Uniti. Combattono contro Assad, un terribile dittatore che ha compiuto crimini tremendi e contro gli sciiti che hanno preso il controllo dell’Iraq.

Questo è quello che credeva anche prima di tornare in Tunisia». Poi la decisione di partire, era l’estate del 2013. Come lo avete saputo? «Lui lo ha fatto sapere a tutti». Pare che per arruolarlo gli abbiano dato anche dei soldi, c’è chi dice mille, chi duemila dollari. Secondo Samir erano proprio dollari americani: «Un bel paradosso, vero? Saranno soldi provenienti dal petrolio degli altri stati sunniti che finanziano l’Isis. Con quei soldi K. ha sfamato la sua famiglia». Tornerà a Ravenna? «Impossibile. Chi parte sa che non tornerà più. Passano tutti dalla Turchia, da lì fanno perdere le loro tracce e raggiungono il califfato. Chi va in Turchia e scompare è perché si è arruolato nel’Isis. Tutti lo sanno per questo nessun Paese, né la Tunisia, né il Marocco, lasciano tornare chi parte per la Turchia con visto turistico. Finiscono subito in galera se tornano. Però i governi li lasciano partire senza problemi, forse per liberarsi di persone potenzialmente pericolose».

Samir crede che «K. non sia il solo partito per l’Isis da Ravenna, secondo me ce ne sono altri. Altri amici di K. che non vedo più in giro da un po’ di tempo. Quella è gente sbandata, meglio che vada il più lontano possibile da qui. Sono persone che non sono riuscite a integrarsi con gli italiani e nemmeno con gli altri tunisini che vivono in città».

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