Storie di profughi, tra i corridoi umanitari e la nave Diciotti

L’associazione Papa Giovanni XXIII opera nel settore da tempo e sta accogliendo al momento anche due famiglie sbarcate a Pratica di Mare accolte dal ministro Salvini e un uomo rimasto a carico della Cei

 

Diciotti

Lo sbarco dalla nave Diciotti, a lungo bloccata in porto

Li hanno chiamati i migranti che piacciono a Matteo Salvini. Il ministro dell’Interno li ha accolti a metà novembre all’aeroporto di Pratica di Mare dove è atterrato il volo dall’Africa. Sono 51 migranti con diritto alla protezione internazionale dopo l’evacuazione compiuta dall’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati). Donne, bambini, ragazzi (19 sono minorenni) tirati fuori dalle carceri libiche ed evacuati nel centro di transito in Niger, per arrivare in Europa attraverso i corridoi umanitari. Una parte dei 51 è stata è affidata alla comunità Papa Giovanni XXIII che ne ha sistemati nove in una casa-famiglia a Lugo che ha in comodato d’uso dalla parrocchia.
Si tratta di una coppia di etiopi e una coppia di sudanesi con cinque figli che hanno tra due e dodici anni. Gionata Ricci segue i progetti di accoglienza della Papa Giovanni XXIII nelle province di Ravenna e Forlì-Cesena: «I due con figli si stanno ambientando bene. Li stiamo seguendo per il percorso burocratico di richiesta di protezione. Siamo in attesa che la questura di Ravenna ci dica quando possono presentare la domanda. Intanto abbiamo avviato le pratiche per la formazione e l’inserimento. Nell’anno nuovo credo che i bambini entreranno a scuola che è la prima cosa importante». Le difficoltà riguardano cose difficili da immaginare nel mondo occidentale: «Per noi la carta di identità o un documento è un concetto ben chiaro. Ma io che ho fatto il missionario in Africa so che invece per certi popoli è davvero qualcosa di difficile comprensione. Figuriamoci l’idea di un permesso di soggiorno…».
Diversa la situazione per gli altri due ospiti lughesi: «Poco dopo l’arrivo hanno lasciato la struttura per un paio di giorni senza dare spiegazioni. Poi sono tornati e ci hanno detto che erano arrivati a Milano. Ora l’hanno rifatto. Crediamo che vogliano raggiungere un fratello della donna in Inghilterra ma non sono stati molto precisi su questo. Nessuno di loro è obbligato a restare nella casa, non è un carcere. Ovviamente se escono e per giorni non tornano va fatta la segnalazione alla prefettura e questo significa uscire dal programma di accoglienza». La nota rete gestita dal governo con i bandi che stanziano 35 euro al giorno per ogni migrante: chi ottiene l’appalto deve garantire vitto, alloggio e percorsi di integrazione con quella cifra. Che potrebbe calare con le nuove disposizioni del ministero: «A fine anno scadono tutte le convenzioni. Si parla di rinnovarle a 19 euro al giorno. Per quella cifra sarà impossibile dare un servizio dignitoso. Già con 35 è difficile. Il paradosso è che abbassando la cifra si favoriscono le situazioni più impattanti: verranno incentivate le grandi concentrazioni di cento o duecento persone in alberghi vuoti in cui mettere una persona alla portineria e basta. Al contrario le piccole sistemazioni diffuse sui territori andranno a sparire».
I 51 arrivati in Italia a metà di novembre sono passati attraverso il cosiddetto corridoio umanitario, una delle strade per l’ingresso in Europa: «Gestisce tutto l’Unhcr, loro valutano chi evacuare. Di solito si parte dai casi più problematici: famiglie numerose, madri sole, disabili, feriti, vittime di violenze». Ricci stima che in Italia ne siano arrivati circa duemila negli ultimi due-tre anni, «un numero esiguo se confrontato a quello degli arrivi sui barconi».
Non era un barcone ma una nave della guardia costiera, la Diciotti, quella che il 20 agosto entrò in porto a Catania con 177 profughi soccorsi in mare. Un braccio di ferro durato giorni li costrinse a rimanere a bordo fino a quando la Cei intervenne con la disponibilità di accoglienza a suo carico. Uno di loro è in provincia di Ravenna, assistito dalla Papa Giovanni in una frazione del forese: «È in una struttura di recupero per tossicodipendenti, semplicemente perché Salvini, per ragioni politiche, ha deciso che quelli della Diciotti non devono entrare nel piano di protezione organizzata pur essendo profughi a tutti gli effetti. E quindi sono a carico della Cei».

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