«Il ddl Pillon danneggia donne e minori». La nuova battaglia non solo femminista

Le avvocate Lama e Morigi illustrano quali sono le criticità del disegno di legge leghista per riformare il divorzio

Iaiasonia

Le avvocate Ilaria Morigi e Sonia Lama

C’è un nuovo terreno di scontro e una nuova battaglia femminista che attraversa l’Italia. È quella contro il Ddl Pillon, ossia il disegno di legge che riforma la legislazione sul divorzio firmato dal leghista Simone Pillon, che, dicono detrattori e detrattrici, rischia di fatto di complicare moltissimo la possibilità di divorziare mettendo in particolare la donna in condizioni di difficoltà e svantaggio. Chi lo difende invece sostiene che serva a riequilibrare presunti “vantaggi” delle madri nelle cause di separazione per quanto riguarda l’affidamento dei figli.

Ne parliamo con Sonia Lama e Ilaria Morigi, avvocate che stanno studiando il provvedimento anche per conto dell’Udi Ravenna, che da tempo sta organizzando eventi sul tema per sensibilizzare l’opinione pubblica prima dell’eventuale approvazione insieme a tutte le altre realtà che si occupano di donne sul territorio e non solo.

Avvocate, cominciamo dal chiarire l’esistente: la legislazione vigente quanto favorisce le madri?
«La legislazione vigente ha subito una radicale trasformazione nel 2006 da quando cioè è stato stabilito, come criterio generale, l’affido condiviso. Da quel momento sia i padri che le madri per la legge hanno pari responsabilità, cioè pari doveri e diritti nei confronti dei figli. Oggi, salvo casi particolari, il Giudice dispone che i minorenni vengano affidati ad entrambi i genitori: i figli quindi ove possibile abitano in quella che era la loro casa prima della separazione dei genitori, insieme al genitore “collocatario”, ossia quello che continuerà ad abitare con i figli minorenni. In realtà, non ci sono favoritismi per le madri. Ciò che accade è che nelle aule di Giustizia si prende atto del fatto che, per varie ragioni, c’è un genitore che riesce a dedicare alla prole più tempo rispetto all’altro genitore e, per una serie di ragioni, si tratta più spesso della madre. Accade quindi che se una madre, ad esempio, che sia per scelta o meno, si trova ad avere più tempo da dedicare ai figli, il giudice affiderà i figli a entrambi i genitori e li collocherà presso la madre, ma può accadere anche il contrario. A questo punto, anche in considerazione dei redditi dei genitori, il Giudice stabilirà un assegno che il genitore dovrà versare al genitore collocatario. Nel calcolo per stabilire l’ammontare dell’assegno di mantenimento vengono anche considerati i tempi che ciascun genitore dedica ai figli per esempio per portarli a svolgere attività sportive, o i colloqui con gli insegnanti».
Anche sulla base della vostra esperienza, quali sono le questioni più problematiche per l’affidamento dei figli nei casi di separazione?
«La stragrande maggioranza dei casi di separazioni e divorzi si conclude consensualmente. Nei residuali casi i temi più problematici riguardano quanto e quando un genitore potrà frequentare i figli e l’assegno di mantenimento. Spesso i genitori riescono a trovare un accordo consensuale su entrambe le questioni. Ma se il Pillon dovesse diventare legge, paradossalmente, anche in caso di accordo i genitori dovranno obbligatoriamente dimostrare di avere intrapreso la mediazione e presentare al Giudice quello che viene chiamato il “piano genitoriale”».
Ed è infatti questa una delle questioni fortemente discusse. Perché l’obbligo di ricorrere a un mediatore potrebbe rappresentare un problema? In particolare per le donne?
«Imporre di ricorrere al mediatore a chi ha già trovato un accordo, come vorrebbe il ddl Pillon, implicherebbe costi ingiustificati e ingiustificabili che, nella migliore delle ipotesi graverebbero sulla parte economicamente più debole, nel peggiore dei casi rischierebbero di disincentivare grandemente il percorso di separazione o divorzio. In sintesi: senza la mediazione obbligatoria e a pagamento, il giudice non potrà pronunciare una sentenza di separazione o divorzio. Non solo, il ddl Pillon, impone la mediazione anche in presenza di violenza domestica e o assistita».
Altro tema cruciale. Questo Ddl davvero complica le separazioni anche nel caso di violenza domestica?
«Il ddl non contempla la situazione di violenza domestica. Una donna vittima di soprusi, maltrattamenti e violenze da parte del marito, non potrà ottenere separazione da questi senza il dovere originario di pagare personalmente una mediazione con un uomo che le ha usato violenza all’interno della famiglia. C’è da dire peraltro che la mediazione obbligatoria è contraria alla nostra Costituzione poichè direttamente confliggente con quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul che esclude categoricamente la mediazione in presenza di violenza. Più che doppia vittimizzazione…».
Veniamo agli aspetti economici. Perché l’abolizione dell’assegno di mantenimento così come è concepito oggi dovrebbe rappresentare un male per le donne, in una società dove, almeno in teoria, dovrebbero essere anche economicamente emancipate? Perché la condivisione delle spese per i figli non vi convince?
«Ha detto bene lei: nella nostra società in teoria le donne dovrebbero essere economicamente emancipate ma di fatto in molti casi non lo sono. La disparità retributiva tra uomo e donna non è una percezione ma un dato di fatto. L’abolizione dell’assegno di mantenimento, ancor prima che per le donne, avrebbe effetti negativi sui figli, poi sull’ex coniuge più debole che statisticamente è nella maggior parte dei casi apppunto la donna. La previsione automatica e obbligatoria di tempi di permanenza paritari presso ciascun genitore (in assenza di accordo, almeno 12 giorni con ognuno), indipendentemente da manifestazioni di volontà contrarie dei figli e a prescindere dall’età, non considera le esigenze di un bambino, soprattutto in tenera età, a un’organizzazione regolare e stabile della propria esistenza. Prevedendo l’abolizione del contributo al mantenimento i relatori del Pillon dimostrano di non tenere in conto minimamente i dati su occupazione, disoccupazione e inattività femminili, che sono una realtà preoccupante nel nostro paese. Con il nuovo testo salterebbero anche tutte le regole sulla casa coniugale. Nessuna assegnazione, nemmeno in presenza di figli minori. Ma in Italia, solo il 54 percento delle donne infatti lavora e, chi lo fa, guadagna 0.48 euro per ogni euro guadagnato dai colleghi maschi. Il salario annuo medio di una donna ammonta a 23mila euro. Quello di un uomo, 44mila. Questi sono i dati oggettivi di cui, in tema di azzeramento del contributo all’assegno di mantenimento per i figli, il ddl Pillon non tiene conto».
Eppure della questione dei padri separati come “nuovi poveri” si è parlato a lungo. Secondo voi è un’emergenza vera e questo Ddl interverrebbe in qualche modo in loro favore?
«Dati oggettivi rispetto ai padri poveri non ne risulano nei rapporti Caritas ad oggi pubblicati. Abbiamo trovato invece dati del rapporto Caritas 2012 secondo il quale i padri separati o divorziati italiani sono il 3,1% del totale degli utenti, mentre le madri italiane nella stessa condizione sono 6,7%. Nel rapporto Caritas 2014 si legge che sono le donne le più penalizzate economicamente dalle separazioni con il rischio di cadere in condizioni di povertà. Nel rapporto Caritas 2017 sulla povertà giovanile si legge che sono le donne ad essersi recate alla Caritas nella percentuale del 62,6 e che le persone senza dimora sono per lo più uomini, stranieri, celibi e senza figli. Ripeto: celibi e senza figli. Con questo non si vuole sostenere che la rottura del nucleo familiare non causi difficoltà e disagi anche economici anche ai padri: appare evidente però che non esiste un fenomeno poiché i dati sbandierati dai sostenitori di questo disegno di legge non trovano riscontri nelle statistiche».
Il fatto di immaginare un affido congiunto non può rappresentare, paradossalmente, un tentativo di responsabilizzare gli uomini?
«Ma, come dicevamo, dal 2006 vi è già una legge che prevede l’affido condiviso. La legge del 2006 risponde anche all’esigenza sentita da molti padri ad avere maggiori responsabilità e parità di doveri. In situazioni non patologiche i padri sono già responsabilizzati. Il timore è quello che, dietro la scusa di ricerca di maggiore responsabilizzazione si possa celare, in casi di alta conflittualità, la volontà di privare il coniuge economicamente più debole dei mezzi per far fronte alle esigenze dei figli».

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