Ilaria Iacoviello, all’alba alla scrivania di Sky: «La tv? Finirà sui telefonini»

La ravennate da 14 anni nella redazione del telegiornale dell’emittente satellitare, dal 2010 anche alla conduzione: «Da bambina intervistavo le bambole». E sul giornalismo italiano: «Il fact-checking è importantissimo. Penso che le scalette dei telegiornali debbano essere pensate diversamente dalle prime pagine dei siti online»

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Ilaria Iacoviello lavora a Sky Tg24 dal 2004 e dal 2010 si alterna anche alla conduzione del telegiornale

Dimenticate l’immagine stereotipata della bimba che prende il tè con le bambole: Ilaria Iacoviello le bambole le intervistava con domande incalzanti. La 40enne ravennate dice di aver cominciato così a fare la giornalista. E dei tempi del liceo classico ricorda con gusto le riunioni di redazione del giornalino scolastico. Ora è un volto di Sky Tg24.

Ilaria, com’è iniziata la sua carriera in tv?
«Ho iniziato la scuola di giornalismo a Urbino nel 2004 e sono entrata a Sky Tg24 nel 2005 con uno stage e poi continuai come collaboratrice da Londra mentre facevo uno stage per l’Ansa. Da lì un passo alla volta, prima la cronaca poi inviata anche all’estero. Dal 2010 sono anche alla conduzione del telegiornale in studio e curo la rubrica “#lamiascuola”».

Ricorda il primo servizio firmato?
«Ricordo molto bene il mio primo servizio da inviata. Mi mandarono a Firenze per fare un pezzo sul caldo e trovai una coppia che si stava sciogliendo mentre si sposava. Inviata a Firenze per un pezzo sul caldo e mi sentivo come se mi avessero mandato a Baghdad. Ero tesissima. Ma questo lo sono ancora quando parte la sigla di ogni edizione, sono fatta così».

È capitata qualche “papera” in diretta?
«Per fortuna poche. Ne ricordo però una clamorosa. Ero inviata a Formia per un omicidio-suicidio. Un’auto era finita in mare e dissi che si era inabissata a una profondità di 10 km. Mi accorsi che qualcosa non andava dagli sguardi del cameraman…».

È il lavoro che voleva fare?
«Sì, faccio il mestiere più bello del mondo. Da bambina intervistavo le bambole e al liceo a Ravenna ero orgogliosa di essere nella redazione dell’Alighiero, il giornalino del Classico. Sky è stato il coronamento del sogno».

Dal 2005 al 2019 qual è il cambiamento più consistente nel modo di fare il suo lavoro?
«I social e internet. Adesso quando si comincia a lavorare a un servizio ci si chiede se mandarlo in rete prima che vada in onda. E quando si confeziona un prodotto lo si immagina per una fruizione dal telefonino. La tv finirà sui telefonini, non lo dico io ma lo dicono tutti gli esperti di giornalismo. Spero che sui giornali e sulla tv rimangano gli approfondimenti».

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Ilaria Iacoviello alla scrivania di Sky Tg24

Ci racconta il lavoro di chi siede alla scrivania e conduce un tg…
«Io vado in onda due-tre volte a settimana, soprattutto nelle edizioni dell’alba perché mi è più comodo avendo un figlio piccolo che a quell’ora dorme. Questo vuol dire entrare nelle case della gente al momento della colazione mentre ci si prepara, serve il giusto tatto per certe notizie. Mi sveglio alle 4, vado in redazione ascoltando i tg per radio in auto, trucco e parrucco e poi circa 45 minuti prima della diretta comincio a guardare i lanci dei servizi preparati dai redattori. Ogni conduttore ha il suo stile e può decidere come intervenire su quei testi, quali collegamenti fare. Poi parte la sigla e ogni volta io sono ancora tesa, è più forte di me».

Cosa ci si inventa quando un servizio non parte?
«Si comincia a parlare per prendere tempo, cerchi di spiegare cosa dovrà arrivare, cerchi di passare al servizio successivo, speri che qualcosa di pronto dalla regia parta»

Cosa pensa che manchi nel giornalismo televisivo italiano?
«In generale c’è poco approfondimento e vedo troppa politica. E poi trovo importantissimo il fact-checking, noi a Sky Tg24 l’abbiamo fatto spesso. Penso che le scalette dei telegiornali debbano essere pensate diversamente dalle prime pagine dei siti online».

Quanto c’è di vero nella critica che a volte viene rivolta alle grandi tv perché non sanno raccontare la provincia italiana?
«Si tende a privilegiare il fatto che accade nella grande città, è fisiologico. La piccola città viene fuori quando accade qualcosa di eclatante. Con Ravenna è successo nel caso dei foreign
fighter».

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