«A Norimberga quasi tutto chiuso ma le aziende lavorano e si può uscire all’aperto»

Il racconto del ravennate Carlo Vaglio, residente in Germania dalla fine degli anni ‘80. Al tempo della pandemia insegna italiano tramite video-lezioni. «Anche qua si teme recessione e disoccupazione ma c’è ancora un welfare molto efficiente»

Carlo Petra AnnaHa lasciato Ravenna nel 1983 per la Germania, e dopo un po’ di lavori intrapresi fra l’Alto Adige, la Francia e il Canada ha iniziato a risiedervi stabilmente. Oggi Carlo Vaglio, 66 anni, insegnate di italiano e linguistica in istituti superiori e universitari, vive a Altdorf, a una ventina di chilometri da Norimberga, in Baviera, con la compagna Petra che lavora in banca. La figlia Anna invece sta concludendo un master in Scienze sociali ed ha un impiego fisso a Magonza.

Lo abbiamo sentito al telefono di casa, di ritorno da una passeggiata nei boschi nei dintorni della cittadina dove abita.

Allora Carlo potete uscire voi lì in Germania…
«La disposizione delle autorità è quello di uscire il meno possibile da casa, però si può camminare e fare sport da soli oppure con la famiglia. Sono chiusi i parchi gioco per bambini ma le grandi aree verdi sono frequentabili. Ad esempio, il fiume Pegnitz, che pure passa attraverso il centro storico Norimberga, ha sponde verdi e boscose percorribili a piedi, coi pattini, in bicicletta… Anche in questo periodo è per così dire “affollato” di coppie e bambini. Grosso modo il divieto di assembramento viene rispettato anche se gli adolescenti e i più giovani tendono a fare gruppo…».

Ma delle imprese e delle attività commerciali e sociali cosa è stato chiuso?
«Gran parte dei cittadini lavorano. In linea di massima non c’è nessun settore della produzione industriale e dei servizi che sia stato chiuso, a parte le grandi industrie automobilistiche, Volkswagen, Bmw, Mercedes, che però hanno cessato l’attività in modo volontario, per ragioni di sicurezza ma anche di carenze nella filiera dei componenti e per la contrazione globale del mercato. A parte il commercio non alimentare, sono sbarrati negozi, ristoranti e bar, ma anche cinema, teatri, strutture sportive, e le scuole, ormai da tre settimane. Ma le restrizioni più importanti e consistenti sono avvenute con ritardo di almeno una decina di giorni rispetto all’Italia».

Anche le scuole sono chiuse, quindi come porti avanti il tuo lavoro di insegnate?
«A distanza ovviamente. Insegno italiano in una scuola superiore per interpreti e traduttori che è a Erlangen, 50 chilometri da dove abito, che di solito raggiungo con due treni. Adesso sono ben contento di non dovermi muovere. Faccio da casa le stesse ore di prima con video-lezioni al computer. Utilizziamo app tedesche, perché è sconsigliato l’uso di software di colossi dell’informatica come Microsoft e Google, ma non sono proprio efficientissime».

Ma come stanno andando le lezioni a distanza?
«Oggi navighiamo a vista, non possiamo fare compiti in classe, solo colloqui orali, senza vere e proprie valutazioni. Per ora non ci sono normative in merito da parte del Ministero della Cultura bavarese. Gli studenti sbuffano perché è aumentato il carico dei compiti, e anche per noi insegnanti è cresciuto l’impegno per questo incremento di esercizi. Per quanto mi riguarda ci limitiamo a leggere e tradurre testi quasi tutti dedicati alla linguistica e alla storia delle lingue. Non so come faremo con gli scrutini senza valutazioni in corso».

Che fine farà l’anno scolastico. È probabile che non si tornerà più fisicamente in classe?
«Per ora non se ne parla. Figurati che c’è un Land (le Regioni della Federazione Tedesca ndr) del Nord del Paese dove si va ancora a scuola fisicamente. Ogni Land decide le sue particolari regole di restrizione. C’è una forte autonomia decisionale e ogni governatore è sovrano nel campo della sanità e della scuola. In Baviera, ad esempio, ci sono restrizioni molto più estese e stringenti che in altre regioni. In alcuni Land si stanno cominciado a prepara gli esami di maturità, che si terranno normalmente, non a distanza. Ma va detto che le vacanze scolastiche in Germania, come le ferie di chi lavora, sono scaglionate per una lunga parte dell’anno che va da maggio a metà settembre, a seconda delle regioni».

Torniamo all’emergenza sanitaria, in Italia ci si chiede come mai, nonostante un notevole numero di contagi, in Germania si registrino così pochi morti da coronavirus…
«Se ne è discusso anche qua. Non sono molto informato della stampa ma seguo sempre i telegiornali. C’è chi dice che è una conseguenza della struttura della famiglia che vede i giovani andare via dalla casa natale subito dopo la fine delle scuole superiori o per iniziare a lavorare. Per cui le coppie mature e gli anziani tendenziamente vivono soli, non ci sono nuclei familiari affollati come in Italia. E questo potrebbe aver limitato i contagi. Insomma una questione di composizione e dinamica del tessuto sociale. Qualche esperto ha anche avanzato l’ipotesi che il coronavirus in Italia sia di un ceppo particolarmente letale. Ma anche che la Germania ha messo in campo subito un’azione molto efficace di protezione del personale sanitario impiegato nell’emergenza, imparando così dagli errori compiuti all’inizio dell’epidemia con il focolaio in Lombardia».

Parliamo di economia e lavoro, si teme un crisi delle imprese e dell’occupazione, una destabilizzazione sociale?
«C’è una notevole preoccupazione. Già si parla di una perdita di più di 100mila posti di lavoro nel campo automobilistico, nei prossimi anni. E così si parla ormai ufficialmente di recessione economica: se va avanti così si prevede una riduzione della produzione industriale di almeno il 18%, il clima di fiducia dei consumatori è crollato, e lo stesso vale anche per gli scambi di titoli in borsa. D’altra parte in Germania c’è un welfare molto più avanzato rispetto all’Italia per il sostegno delle persone meno abbienti. Da tempo esiste una sorta di quello che adesso in Italia si chiama reddito di cittadinanza che ammonta a oltre 800 euro al mese. Ma se questi soldi non bastano, a chi ne ha diritto, viene pagato anche l’affitto o le bollette. Oggi chi abita in una grande città tedesca ha il problema del caro affitti, non ci sono abbastanza case, spazi abitativi. Un tempo non era così, si tratta di una tendenza emersa una decina d’anni fa, che sta allargando il disagio sociale».

E come viene affrontata la precarietà del lavoro?
«Da molto tempo in Germania c’è molta gente che vive di “lavoretti”, di impieghi precari, senza garanzie. Si possono guadagnare fino a 450 euro al mese con notevoli sgravi fiscali sia per il datore di lavoro che per il lavoratore. Di solito con due o tre di questi impieghi si riesce a costruire un reddito dignitoso. Anche se non c’è alcuna sicurezza di continuità, perché spesso sono incarichi temporanei, che riguardano principalmente il commercio e la ristorazione. È una zona grigia della società tedesca, un piccolo esercito che conta alcuni milioni di persone per cui la sopravvivenza dell’occupazione è a rischio. Peraltro si tratta di un sistema occupazionale in fase di contrazione perché negli ultimi tempi in Germania c’è sempre più richiesta di personale qualificato ed esperto».

Come è vista in Germania la questione delle coperture finanziarie e degli investimenti della Comunità Europea, della solidarietà economica, rispetto ai rischi di una dura fase di depressione?
«Qui si pensa sia una questione messa in campo e che preme molto a paesi come Italia, Spagna, Francia. E non se ne parla molto, non fa parte dell’attuale dibattito pubblico. Credo sia un atteggiamento della classe politica dominate, in particolare della Cdu, per non prestare il fianco alle critiche degli euroscettici, dei populisti. Dei “coronabond” non si discute proprio per ora, c’è sempre un po’ di allergia, di irritazione, anche nell’opinione pubblica, quando si sente parlare di supportare i paesi europei in difficoltà economica. In questo senso c’è una sintonia fra i governanti e i cittadini elettori, anche se credo che i politici tedeschi responsabili delle iniziative a livello europeo si stiano preparando a un compromesso rispetto alle richieste delle nazioni del sud del continente. Si cerca un equilibrio fra l’interesse dalla nazione e quello della Comunità Europea, perché anche qui si parla di recessione e avanza la paura di una crisi economica e non credo sia intenzione della Germania mettere in discussione la stabilità e le convenienze dell’Europa unita».

Quando pensi di tornare in Italia, dove vieni periodicamente in estate, a Natale, in primavera?
«Mi piacerebbe, come facevo di solito, tornare a Pentecoste, quest’anno cade a giugno. Chissà, lo spero proprio».

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