I ravennati nella Bruxelles blindata, tra paure e voglia di tornare alla normalità

Dalle piadinare dei mercati alla 37enne che lavora alla Commissione Europea: le testimonianze durante la maxi operazione antiterrorismo

di Andrea Alberizia e Luca Manservisi

La Bruxelles blindata da tre giorni per consentire una vasta operazione antiterrorismo (sedici persone arrestate, diciannove perquisizioni tra case, bar e locali) è una città dove vivono e lavorano diversi ravennati alle prese con le limitazioni e le disposizioni delle autorità.

PIADINA ON THE ROAD. Partite cinque anni fa da Bologna, dove hanno studiato all’università, le ravennati Clara Fori ed Elisabetta Saporetti hanno lasciato i loro lavori di educatrice e assicuratrice per vendere la piadina romagnola a Bruxelles. Con il loro furgone (ribattezzato “Il sapore della Dolce Vita”) lavorano nei vari mercati della capitale belga, dove propongono una sorta di aperitivo all’italiana. In queste ore sono quindi particolarmente colpite dallo stato di allerta, ma sono anche molto combattive, e le contattiamo mentre sono già nel loro deposito in attesa di avere informazioni sul da farsi. «Hanno annullato il mercato a cui dovevamo partecipare oggi – ci racconta Clara – e soprattutto hanno annullato al momento il mercato di Natale, per cui dovevamo già iniziare a prepararci. Noi stiamo bene, ma la situazione è davvero limitante, è limitata la libertà, anche solo per dover spendere 20 euro per un taxi per muoversi, con i servizi pubblici fermi…». Ride, Clara, che non ha alcuna intenzione di andarsene da Bruxelles. «Non dobbiamo farci prendere dal panico ma stare tranquilli, vivere la nostra vita come sempre, sperando che si abbassi lo stato di allerta…».

LA STUDENTESSA CAMERIERA. Un’altra ravennate, Federica Vaghetti, 25 anni, è arrivata a Bruxelles nel settembre 2011 come studente Erasmus. «Mi sono innamorata della città, che ha molto da offrire a livello culturale e di aggregazione sociale, e sono rimasta profondamente affascinata dal suo aspetto multiculturale». Così, dopo nove mesi di Erasmus ha deciso di restare e proseguire i suoi studi a Bruxelles, dove si è laureata e sta frequentando ora un Master avanzato in Culture e Sviluppo. Allo stesso tempo lavora come cameriera e pizzaiola in un ristorante che vende pizza al taglio nel quartiere universitario. «Sabato, quando i media belgi hanno cominciato a dare notizie sulla chiusura di centri commerciali, cinema, centri sportivi, negozi – ricorda – io ero già al lavoro. Ho lavorato fino alle 17.30, nonostante una crescente sensazione di ansia e anche un pò di paura. Poi ho deciso di tornare a casa a piedi (nel comune di Ixelles, circa 45 minuti di cammino, ndr) perché prendere un autobus in una situazione di allerta simile mi sembrava un po’ azzardato. Ho così cominciato a rendermi conto che la situazione stava cambiando: molti dei bar che solitamente sono strapieni di gente al sabato pomeriggio, erano o chiusi o semi-vuoti. Tutti i grandi negozi avevano le serrande abbassate. E anche nella via di casa mia, che solitamente è piena di gente fino a tarda notte, c’erano pochissime persone per strada». Da allora Federica è rimasta in casa: «Per fortuna in questi giorni non lavoro, ma comunque resta l’impegno dell’università. Domani (martedì, ndr) avrei lezione tutto il giorno e, sinceramente, non me la sento di prendere il treno (l’università è a Lovania, una trentina di chilometri dalla capitale, ndr)». Per non interferire con le operazioni militari, i media locali non diffondono notizie come abitualmente. «Diciamo che ci viene detto lo stretto necessario. Sappiamo che c’è una “minaccia seria ed imminente” sul territorio: siamo un po’ tutti col fiato sospeso e con mille punti interrogativi. Andarmente? Al momento non voglio: nonostante la mia famiglia cerchi di convincermi a prendere il primo volo per Bologna, io ho una vita qui. L’università, il lavoro, i miei amici. Non ho intenzione di cedere al panico e all’allarmismo».

TRA I TAVOLI DEL RISTORANTE. «Andare via? Non ci ho neppure pensato, credo che in questo momento siano più pericolosi gli aeroporti…». La 31enne ravennate Alice Di Gennaro vive a Bruxelles da circa due anni. «Mi sono trasferita soprattutto per raggiungere alcuni amici», ci racconta al telefono la donna che, insieme ai suoi attuali concittadini, sta vivendo ore surreali nella capitale belga. «Diciamo che se ne approfitta per stare molto in casa, magari con chi si conosce, viviamo in una città completamente blindata, dove è tutto chiuso. Per questo, in fondo, non c’è neppure un motivo per uscire». Alice lavora però in un ristorante italiano vicino alla commissione europea, che continua a restare aperto, essendo fuori dalla zona più calda. «Vivo nel quartiere turco, una zona apparentemente tranquilla, anche se in giro c’è davvero poca gente, e a lavorare vado regolarmente». Nessuna paura? «Più che altro stiamo vivendo una situazione molto strana di blocco della abitudini. Restando nei propri ambienti, come la casa o il lavoro, si ha però quasi una sensazione di protezione. Peccato non si possa fare nulla, neppure una banale nuotata in piscina. Tutto questo è molto limitante, speriamo finisca in fretta…».

IN UFFICIO ALLA COMMISSIONE UE. La chiusura della metro, una delle misure più forti, non è stata un problema per Elisa Tesselli: «Come ogni buon ravennate vado al lavoro in bici». Le abitudini bizantine non le ha perse anche se la 37enne vive nella capitale belga da tredici anni dove lavora per la Commissione europea. Che potrebbe sembrare un obiettivo sensibile «e invece no, per noi lo stato di allerta è giallo, si può venire al lavoro senza grossi problemi». In realtà diversi colleghi sono assenti: «Questa mattina siamo in 5 su 13 della mia unità ma chi manca non è per questione di paura, con le scuole chiuse e le metro chiuse per qualcuno ci sono i figli da gestire o concreti problemi di mobilità». Nemmeno Elisa ha voglia di farsi spaventare. È bastato un weekend di isolamento per metterla alla prova: «Venerdì sera sono stata a una festa con tantissime persone perché non ho voglio cambiare la solita vita. Ma da sabato ci siamo svegliati in una città in cui è stato annullato ogni evento e la polizia ha consigliato a tutti di restare in casa evitando di pubblicare notizie sui social network. Non si può vivere così, è stato assurdo». Per capire cosa succedesse dietro l’angolo è stato necessario seguire i media internazionali. La 37enne si è affidata a Rainews24: «Le autorità hanno chiesto il silenzio stampa in Belgio per evitare di aiutare i ricercati ma così è difficile anche per noi capire come comportarci. Non vengono date molte informazioni». In attesa degli aggiornamenti sullo stato di allerta in città, Elisa nel suo piccolo ha già il programma per la pausa pranzo: «Devo comprare un regalo per una nipotina e andrò a prenderlo in una delle strade più affollate». Ma ci sono cose su cui non ha potere: «Avevo già comprato i biglietti per il concerto di Carmen Consoli in città ma hanno annullato la data del 27 novembre e rimborsato i biglietti…».

AL LAVORO DA CASA GUARDANDO AL FUTURO. Diversa la situazione vissuta da Elisa Terrasi, responsabile Sviluppo e Studi alla Confederazione europea delle cooperative di produzione e lavoro e cooperative sociali (Cecop). La 33enen di Conselice vive stabilmente a Bruxelles dal 2011: «Il quartiere in cui abito non è stato conivolto nelle operazioni, mentre quello in cui lavoro sì». È anche per questo che il suo datore di lavoro «ci ha invitato a lavorare da casa, ed è quello che sto facendo». È stato un weekend diverso dal solito, alle prese con un clima assedio: «Ho seguito le indicazioni delle autorità evitando luoghi affollati e trasporti pubblici e ho cercato di rassicurare amici e parenti che dall’Italia e da altrove mi chiedevano della situazione». I programmi di sabato sono saltati ma domenica non ha rinunciato ad una gita fuori porta: «Uscire da Bruxelles mi ha permesso di trascorrere una giornata più serena in compagnia di alcuni amici». Lo stato di allerta probabilmente verrà presto revocato ma resta «un forte senso di smarrimento e tanta voglia di comprendere quel che sta accadendo». Non è facile orientarsi. Elisa guarda avanti ed è difficile prevedere come la situazione evolverà. «Non mi riferisco solo allo stato di emergenza in cui si trova Bruxelles ora, ma più in generale a quello che mi aspetta come cittadina nei tempi futuri». L’italiana che vive in Belgio ragiona con spirito internazionale: «Come cittadina europea, vorrei che questi momenti spingessero le persone a porsi delle domande e che la paura e il sospetto non diventassero la logica prevalente nelle nostre vite e nel nostro modo di relazionarci agli altri».

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