Progetto “Pluriverso” su donne e sport: «Sono ancora troppe le disuguaglianze»

Ne parla Manuela Claysset della Uisp, nell’ambito di un percorso contro tutte le discriminazioni al via il 24 marzo

Sport E Differenze Di GenereÈ in calendario il 24 marzo (ore 18) il primo incontro, di quattro in programma, del percorso online di sensibilizzazione “Si può giocare alla pari? Sport e contrasto alle discriminazioni di (ogni) genere” con l’intervento di docenti universitari. Gli incontri fanno parte del progetto pluriennale “Pluriverso (VI edizione) – Sport e fairplay relazionale”, promosso e organizzato dalle associazioni Femminile Maschile Plurale, Uisp, Pscichedigitale e Psicologia Urbana e Creativa, in compartecipazione con il Comune di Ravenna (assessorato Pubblica Istruzione, Infanzia, Politiche di genere e assessorato alla Sport.

Gli altri appuntamenti sono previsti il 31 marzo (“Le parole giuste: linguaggio e discriminazione di genere nello sport”), il 7 aprile (“Atlete, arbitre, allenatrici: un viaggio tra passione e pregiudizi”) e il 13 aprile (“Operare sul campo per promuovere parità di genere, contro i pregiudizi”). Gli incontri sono gratuiti e su prenotazione sul sito www.femminilemaschileplurale.it

Sul tema ecco un’intervista a Manuela Claysset, responsabile nazionale politiche di genere e diritti della Uisp (Unione sport per tutti), a cura del team del progetto Pluriverso/Femminile Maschile Plurale.

Manuela ClayssetManuela iniziamo questa intervista con una breve definizione di sport?
«Lo sport è un fenomeno sociale di fondamentale importanza: una centrale formativa, culturale ed educativa che, alla pari della scuola e della famiglia, è in grado di trasmettere valori ed ideali in modo molto trasversale e coinvolgere ampie fasce della nostra popolazione. Lo sport infatti rappresenta e trasmette valori universali quali il rispetto delle regole e dell’avversario, le idee di inclusione e di gioco di squadra e non va considerato esclusivamente per i suoi aspetti agonistico e competitivo perché sempre di più lo sport si associa alla promozione della salute, del benessere sia individuale che collettivo».

Nonostante i suoi contenuti valoriali lo sport rappresenta però uno dei terreni più permeabili alle diseguaglianze di ogni tipo che rischiano di dare voce a discriminazioni e pregiudizi, primo di tutto quello legato al genere.
«Se guardiamo i numeri della pratica sportiva l’Istat ci dice che in Italia nel 2016 oltre 35 milioni di italiani sono persone attive; 14.792.000 persone praticano sport in modo continuativo; quelle che praticano sport saltuariamente sono 5.690.000 mentre oltre 15 milioni – il 25% della popolazione – svolge solo qualche attività fisica . Gli sportivi che praticano con continuità sono in aumento ma se analizziamo i dati per genere si evidenzia che sono il 20,8% tra le donne e il 29,7% tra gli uomini. Il gap di genere tocca il 22,9% tra i 18 e i 19 anni , i sedentari rappresentano 39,2% della popolazione, ma le donne lo sono di più degli uomini – il 43,4 % rispetto al 34,2% tra gli uomini».

Negli ultimi anni, però, lo sport femminile ha iniziato a suscitare interesse ed è spesso in primo piano sui mezzi di informazione.
«Si è indubbio che lo sport femminile stia vivendo una grande stagione di risultati e visibilità. Ne sono un esempio i risultati e le medaglie degli ultimi grandi eventi sportivi; si pensi, ad esempio, alla Nazionale Calcio femminile , ma anche all’esito delle Olimpiadi invernali in Corea o altri grandi appuntamenti internazionali che hanno visto brillare nelle competizioni le atlete italiane.
Ciononostante, permangono forti discriminazioni e diseguaglianze, sia nei numeri, sia nel valore dei riconoscimenti sportivi ed economici, probabilmente in ragione di una diversa cultura dello sport e dell’attività motoria, indicata come pratica del tempo libero e non come parte fondamentale della vita di ogni individuo. Occorre infatti rilevare che, in Italia, è ancora predominante l’idea di sport basata sul risultato, sulla competizione, sulla forza, dunque prevalentemente pensato “al maschile” e ancora oggi le donne che praticano sport devono contrastare pregiudizi e stereotipi sui concetti di femminilità e mascolinità».

Il problema allora si sposta dall’ambito specifico sportivo a quello generale di una società che deve ancora fare i conti con “le differenze”?
«Nello sport, più che in altri ambiti , siamo condizionati da una cultura che ancora oggi promuove modelli stereotipati, dove spesso anche attraverso il linguaggio rischiamo di escludere e discriminare. La formazione rappresenta il primo impegno per promuovere una diversa cultura inclusiva: formazione rivolta ai dirigenti, alle figure tecniche, educatori ed educatrici che rappresentano il principale punto di riferimento per chi pratica sport».

Abbiamo riferimenti teorici, di principio che possono aiutarci ad elaborare buone prassi per promuovere un’altra cultura del movimento e contrastare le barriere all’accesso paritario allo sport?
«Certo, nello sport occorre valutare quali azioni di promozione sportiva e regole statutarie possono essere messe in campo per contrastare le diseguaglianze e promuovere una nuova stagione della pratica sportiva, in linea con i principi della Carta Europea dei Diritti delle Donne nello sport promossa dalla Uisp. Presentata la prima volta dalla Uisp nel 1985, nel 1987 questa Carta dei Diritti venne fatta propria dall’Assemblea legislativa europea. Un documento frutto della elaborazione di donne dello sport e non solo e che raccoglieva alcune importanti raccomandazioni e principi.
Dopo 25 anni dalla presentazione della Carta, nell’ambito del progetto Olimpya la Uisp, insieme con altre associazioni europee, ha apportato integrazioni al documento originale, alla luce dei cambiamenti occorsi e del nuovo assetto europeo. È nata così la Carta Europea dei Diritti delle Donne nello Sport, rivolta alle organizzazioni e alle federazioni sportive, a tutti gli sportivi, ai gruppi di tifosi, alle autorità pubbliche, alle istituzioni europee e a tutte quelle organizzazioni che possono avere un impatto diretto o indiretto sulla promozione dello “sport per tutti e per tutte”. Lo scopo prevalente è quello di incentivare campagne a favore delle pari opportunità fra donne e uomini nello sport.
La Carta inoltre affronta diverse problematiche senza limitarsi alla denuncia, ma cercando di diffondere e promuovere buone pratiche, sperimentate e realizzate nei Paesi Europei per diminuire le discriminazioni verso le donne nello sport. Prende in esame vari ambiti e sfaccettature del fenomeno sportivo : la pratica sportiva; la leadership; educazione e sport; ricerca e comunità scientifica; donne, sport e media; spettatori e tifoserie» .

Hai accennato alle buone pratiche che Olympia è in grado di avanzare nel sociale ce ne puoi parlare più nello specifico?
«Rispetto ai singoli ambiti vengono avanzate possibili proposte, ad esempio per promuovere l’incremento della pratica sportiva femminile si suggerisce di svolgere attività con orari più flessibili, di progettare attività che prevedano sport di squadra un forma mista, di incentivare le attività che coinvolgono genitori e bambini e di dedicare maggiore attenzione agli impianti sportivi, con spazi e spogliatoi adeguati oltre ad individuare iniziative che rispettino le diverse sensibilità culturali riguardo alla corporeità. Ad esempio il progetto “ Piscina al femminile” che promuove la pratica del nuoto e della ginnastica in acqua tra le donne che seguano precetti religiosi che non consentono di esporre il corpo agli sguardi maschili o semplicemente tra donne che non sono a proprio agio a mostrarsi in costume in ambiente misto.
Per promuovere la leadership femminile nello sport, nella Carta sono prese in esame alcune possibilità, come ad esempio la scelta di tutele e di quote, considerando la rappresentanza in proporzione delle tesserate e delle praticanti nelle diverse discipline; inoltre per incentivare la circolazione di dati e la condivisione di strategie dovrebbero essere promossi momenti di confronto tra le diverse esperienze europee, analizzando e raccogliendo i dati dai diversi Paesi della Comunità.
Se prendiamo in esame la governance dello sport nel nostro Paese registriamo ancora la totale assenza a livello nazionale di donne che ricoprano ruoli di Presidenti di Federazione sportiva: si stanno svolgendo le Assemblee elettive e non si registrano cambiamenti, nonostante la presenza di diverse donne Vicepresidenti e segretarie generali».

Laura Lugli Pallavolo Femminile

La pallavolista Laura Lugli, citata recentemente per danni dalla sua vecchia società per la sua maternità, esempio eclatante di disparità di genere nello sport

Cosa ci puoi dire sul tema dello sport a livello professionale?
«Penso che ci sia ancora molto da fare, che permangano diseguaglianze della condizione femminile é evidente soprattutto per quanto riguarda la condizione delle atlete italiane, penalizzate rispetto ai colleghi uomini sia in termini economici, sia di carriera. La legge sul professionismo sportivo (Legge 91 del 1981) di fatto esclude le donne, delegando alle Federazioni il riconoscimento del professionismo solo per gli uomini e che ancora oggi si limita a un numero contenuto di discipline.
Per le donne che fanno sport, e che possiamo definire nella stragrande maggioranza dilettanti, mancano ancora provvedimenti organici per riconoscimento di tutele e, primo fra tutte, la maternità: tanti sono gli episodi che hanno evidenziato quello che subiscono le atlete, spesso costrette a firmare in cui non è prevista la maternità. Questo nonostante la Legge di Bilancio 2018 che ha approvato per la prima volta un “fondo Maternità” per le atlete; solo attraverso un impegno trasversale di diversi soggetti è possibile modificare questa situazione che penalizza fortemente le donne, spesso costrette a scegliere di abbandonare lo sport anzitempo.
Occorre parlare di tutele, di lavoro e di diritti anche nello sport. I decreti di riforma dello sport approvati dal Governo Draghi il 23 febbraio scorso sono un punto di partenza, in cui per la prima si sottolineano le tutele per i lavoratori sportivi, il professionismo per le atlete, il contrasto alla violenza di genere nello sport. Sono decreti che presentano ancora molti limiti ma che possono certamente essere una base di partenza da migliorare».

I tuoi esempi di buone prassi riguardano un’inclusione a 360 gradi che tenga conto anche del rispetto per le altre culture e per le persone portatrici di disabilità.
«Certamente lo sport è un incredibile campo di inclusione, che può contribuire a superare diseguaglianze e discriminazioni. Come Uisp abbiamo avviato e consolidato esperienze e progetti: per noi la persona è al centro delle nostre proposte, quindi lo sport e l’attività motoria si devono “ modellare” in base alle diverse esigenze, possibilità, specificità.
Se penso a progetti sulla disabilità penso ad esperienze che ci vedono collaborare con i Centri di Salute Mentale di molte realtà, con iniziative come Matti per il calcio, oppure Esponiamoci, iniziative che uniscono attività sportiva e socializzazione, turismo, inclusione. Ma anche attività rivolta a ragazzi e ragazze con disabilità fisica. Penso, inoltre, a tutte le attività rivolte a migranti, iniziative storiche come i Mondiali antirazzisti e all’Almanacco antirazzista, un vero e proprio calendario di eventi sviluppati in tutta Italia. Sport come incontro ma dove è anche possibile fare azioni specifiche. Siamo i promotori dell’osservatorio contro le discriminazioni istituito presso Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.
Le discriminazioni di genere nello sport coinvolgono anche altri aspetti e la Carta Europea affronta in particolare le discriminazioni verso le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali – cosiddette Lgbt – ed occorre promuovere azioni specifiche per contrastare l’omofobia nello sport.
Proprio dal confronto e dalla collaborazione con associazioni Lgbt e il mondo accademico – come ad esempio la collaborazione con il Centro Sinapsi dell’Università di Napoli Federico II – la Uisp ha realizzato un percorso di formazione rivolto ai propri dirigenti e tecnici, per iniziare al nostro interno il difficile percorso di sensibilizzazione del mondo sportivo sulle difficoltà delle persone lesbiche, gay e transessuali nello sport. Da questo percorso è nata la scelta di attivare l’identità Alias anche per quanto concerne il tesseramento; la Uisp è l’unica associazione sportiva del nostra Paese che abbia avviato un tesseramento  – Alias appunto – che consenta alle persone transessuali di identificarsi con il genere che sentono proprio, senza aver completato il percorso di transizione.
Piccoli segnali, azioni che portano ad una diversa cultura nello sport e da questo, nella nostra società: serve un forte impegno politico di tutti e di tutte per raggiungere determinati risultati ed occorre partire proprio dalla conoscenza, dalla contaminazione di saperi ed esperienze».

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