«Piadina Igp un vantaggio per l’industria e un costo per chi aderisce al consorzio»

Dopo la multa alla fattoria ravennate, Confesercenti torna all’attacco

piadina«La vera piadina romagnola è quella fresca dei chioschi e dei ristoranti». Lo ribadisce in una nota la Confesercenti di Ravenna, a commento della notizia della prima multa elevata nei confronti di un coltivatore (il titolare della fattoria La Rondine di Boncellino, vedi articoli correlati) reo di aver definito la propria piadina – realizzata con prodotti del suo podere secondo le antiche tradizioni – semplicemente quello che è, ossia “piadina romagnola”. Il tema come noto è quello del marchio Igp che da ottobre è stato assegnato alla “piadina romagnola” per effetto del quale il termine è utilizzabile solo da chi rispetta al 100 percento gli ingredienti previsti nel disciplinare di produzione («scritto da pochi, grandi produttori», sottolinea Confesercenti) e da chi aderendo al consorzio, è in grado di sostenere anche le spese per l’organismo di controllo chiamato a verificare il rispetto delle regole.

«A discapito di chi ci ha sempre accusato di fare le cassandre – si legge nella nota della Confesercenti –, dopo il Tar del Lazio (che con una sentenza dell’anno scorso è andato contro le indicazioni europee sull’Igp, ndr) anche la vicenda della sanzione fatta a Ravenna a un coltivatore per la piadina romagnola “non IGP” dimostra quanto fuorviante e pretestuosa sia stata questa battaglia per una presunta valorizzazione che invece è ad uso e consumo esclusivo dell’industria, a scapito dei piccoli produttori artigianali e dei chioschi. Chi ha promosso e venduto questo riconoscimento come una vittoria del patrimonio gastronomico romagnolo dovrebbe spiegare perché una piadina prodotta con ingredienti locali, ma che non rispetta al 100% gli ingredienti previsti nel disciplinare di produzione, peraltro scritto da pochi, grandi produttori, non possa fregiarsi della dicitura “romagnola».

Igp, secondo Confesercenti, «non solo significherà uniformazione e standardizzazione prettamente industriale, che non ha nulla a che vedere con la varietà e la tipicità propria dei chioschi e dei piccoli laboratori artigianali, ma anche costi aggiuntivi per queste attività che, aderendo al consorzio, dovranno sostenere le spese per l’organismo di controllo chiamato a verificare il rispetto di un disciplinare che non hanno contribuito a scrivere e che non condividono».

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