La cultura è diventata l’oppio del popolo? Ecco allora qualche consiglio “critico”

©ClaudiaMariniMacello7.1Ho da poco finito di leggere L’oppio del popolo, l’ultimo pamphlet di Goffredo Fofi, pubblicato qualche mese fa da Eleuthera. Il libriccino è breve ma denso, e la sua urgenza trapela ad ogni frase nella tormentata sintassi di Fofi. Cos’è diventata la cultura? Qual è oggi il suo ruolo? E quale quello degli intellettuali? Basta riflettere sul titolo del libro per capire che le conclusioni di Fofi sono tutt’altro che rassicuranti. La cultura (o meglio il “culturificio” diffuso in cui le democrazie occidentali si sono trasformate negli ultimi trent’anni) è diventata un’arma di ottundimento delle coscienze, il fiore di loto che ci addormenta per farci dimenticare la realtà.

Festival, rassegne e kermesse: l’interminabile sequela di eventi culturali a cui siamo assuefatti non fornisce più gli strumenti critici per capire il negativo della società e tentare di cambiarlo, ma sono una fiera della vanità organica alle oligarchie al potere. Gli artisti si vendono per un pizzico in più di visibilità; il pubblico torna a casa rassicurato, convinto di essersi arricchito moralmente e intellettualmente. Risultato: nulla cambia, la realtà resta così com’è.

Nelle sue pagine Fofi affronta anche il mondo del teatro, una sorta di riserva indiana ormai ristretta a un pubblico ancora selettivo e a compagnie quasi sempre sull’orlo dell’indigenza. Lontano dai riflettori una cultura altra è ancora possibile? Forse. A patto che ognuno faccia il suo dovere: il pubblico, il critico, l’artista – e, mi permetto di aggiungere, il produttore. Prendo sul serio il suggerimento di Fofi e provo a segnalare, almeno per questa fine d’anno, gli spettacoli più “defilati”, meno concilianti.

Il 7 dicembre, al Testori di Forlì, debutta Il bue nero. O della cattiva coscienza degli italiani, un lavoro fatto da giovanissimi: Yvonne Capece alla regìa e Marzio Badalì alla scrittura. Cosa so di questo spettacolo? Poco: leggo dalla presentazione che gira attorno alla figura di Mussolini, che indaga la rimozione italiana di questo corpo così ingombrante, prima venerato, quindi smembrato e oggi ancora presente, fantasmatico e invisibile, come un’ulcera alla base della nostra memoria democratica. Un lavoro ambizioso, senza dubbio; ma la garanzia di Badalì (vincemmo assieme l’anno scorso il premio nazionale Lettera 22 per la critica teatrale) mi fa ben sperare.

Proseguiamo con un altro spettacolo “critico”, per così dire, ma con ben altra produzione: La commedia della vanità, di Claudio Longhi, tratto da una drammaturgia di Elias Canetti scritta a ridosso dell’ascesa al potere di Hitler. Siamo in piena distopia: Canetti immagina un mondo privo di specchi, nel quale è l’idea stessa di identità a venir meno. Sul palco, dal 9 al 12 gennaio al Bonci di Cesena, alcuni attori d’eccezione, come Fausto Russo Alesi, Michele Dell’Utri, Diana Manea e Jacopo Trebbi.

Non si può non citare, il 10 gennaio al Comunale di Russi, la produzione de Le Belle Bandiere, Ottocento. Elena Bucci e Marco Sgrosso creano sulla scena un incontro impossibile con i grandi protagonisti del secolo del Romanticismo e del Positivismo, della Rivoluzione industriale e dello Sturm und Drang, della Restaurazione e del Risorgimento. Nell’album di famiglia ci sono quasi tutti: la Dickinson, la Brontë, Poe, Baudelaire, Dostoevskij e Tolstoj, Ibsen e Hugo. Interessante e stimolante capire come farà l’intreccio drammaturgico a sostenere il peso di tutti questi giganti senza ridursi a mera crestomanzia.

Segnalo infine Macello, di Pietro Babina (nella foto), nome conosciuto da tempo nel teatro indipendente italiano. Classe ’67, bolognese, Babina porta in scena le poesie di Ivano Ferrari, tratte dalla silloge omonima pubblicata da Einaudi nel 2004. La riflessione è sull’attitudine allo sterminio dell’umanità, e ci pone una domanda sinistra e disturbante: la fabbrica della morte che quotidianamente mettiamo in funzione contro gli animali ha qualche oscura radice in comune con quella da cui scaturirono i campi di concentramento? Babina sarà prima al Guattari di Forlì il 14 dicembre; poi, dal 23 al 25 gennaio al Rasi di Ravenna, fuori abbonamento.

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