Considerazioni inattuali sullo stato dell’arte del teatro. Note sulla mozione in Comune a Ravenna contro “Delitto e castigo” di Bogomolov

Delitto E Castigo Bogolomov

Una scena da “Delitto e castigo” di Konstantin Bogomolov (foto Luca del Pia)

Qualcosa è fuori posto

Uno spettro s’aggira per Ravenna: lo spettro di Bogomolov.
Da quando è passato in città col suo spettacolo Delitto e castigo, lo scorso 13 marzo, alcuni nostri concittadini non sono più riusciti a dormire sonni tranquilli.
I capi d’imputazione del regista russo sono tra i più classici nel repertorio delle offese alla morale comune: oscenità di linguaggio, blasfemia per l’accostamento azzardato di simboli religiosi e sessualità, rappresentazione esasperata dell’abiezione umana. La provocazione di Bogomolov ha colto nel segno.
Prima i santi rosari di riparazione fuori dall’Alighieri, poi un question time del consigliere di opposizione in Comune Alvaro Ancisi, fino ad arrivare, venerdì 8 giugno   , alla discussione in consiglio comunale di una mozione firmata dai maggiori partiti di opposizione di centro-destra (Lista per Ravenna, Lega, Forza Italia, La Pigna).
Obiettivo della mozione, la proposta di «mettere a punto, d’intesa con Ravenna Teatro, alcune linee di indirizzo gestionale volte a far sì che, nella programmazione del teatro Alighieri, non figurino spettacoli palesemente in distonia con la sensibilità e i sentimenti di larghe fasce del pubblico potenziale di un teatro civico di tradizione, in particolare se prodotto e messo in scena in massima parte con denaro pubblico».
Raramente un’opera teatrale scatena un simile interesse. Quando succede si tratta quasi sempre di un evento straordinario, che costringe la politica ad azzardare un’escursione nell’impervio territorio dell’estetica e della critica culturale; esercizio a cui è oramai sempre meno avvezza. E infatti, dopo aver ascoltato con attenzione le concioni lanciate dai banchi del consiglio da entrambe le parti politiche, si rimane con uno strano sapore in bocca. Un sapore inattuale, sintomo che qualcosa era fuori posto. Ma cosa?

Konstantin Bogomolov

Il regista Konstantin Bogomolov

Opinionismi

Sono fuori posto il lessico e le argomentazioni utilizzate dai politici per attaccare o difendere Bogomolov? In parte, ma non solo. È fuori posto la pretesa di parlare della natura e della finalità dell’arte da parte di persone in molti casi assolutamente prive degli strumenti d’analisi minimi per giudicare un’opera? In parte, ma non solo.
Così come è successo per l’opera di Bogomolov, non mi hanno affatto scandalizzato le imprecisioni, le impreparazioni e il pressapochismo di certi discorsi che ho sentito fare in consiglio – da ambo i lati, beninteso. L’opinionismo ha fatto le sue vittime anche da noi, e figuriamoci su un terreno come quello artistico! Proprio perché linguaggio universale, l’arte promuove chiunque a dire la sua; ognuno si sente legittimato nel suo giudizio, anche se magari non ha visto l’opera in questione o non ha letto il libro da cui è stata tratta.
Se a questo aggiungiamo che la posta in gioco è parsa a quasi tutti la libertà d’espressione, il lettore può bene immaginare come in molti, soprattutto a sinistra, abbiano approfittato dell’occasione per apparire come donchisciotteschi paladini dei lumi del progresso contro la buia notte della reazione.
È fuori posto la mozione firmata dal centro-destra? In parte, ma non solo.
La destra fa la destra e difende i diritti di chi (soprattutto cattolici) si è sentito offeso da una rappresentazione mediocrissima e dozzinalmente provocatoria. Costretti a districarsi fra concetti scomodi, i rappresentanti della destra si sono prodigati in torsioni intellettuali clamorose per evitare le accuse di “censura”. È questa la ragione del linguaggio sfumato e sfuggente della mozione, a volte burocratico (“linee di indirizzo gestionale”), a volte fumoso fino alla poesia involontaria (“in distonia con la sensibilità […] del pubblico potenziale”).

Avviso Popolo Della Famiglia

Chiamata al presidio contro lo spettacolo del Popolo della Famiglia

Ed è questa la principale ragione per cui, in sede consigliare, più che soffiare sulle braci della blasfemia, l’opposizione ha preferito parlare di freddi e concreti numeri, soluzione più che naturale di fronte alla palese debolezza delle argomentazioni politiche.
Delineare una programmazione che non offenda nessuna categoria è semplice fantascienza. Non si può basare un cartellone sul rispetto delle sensibilità altrui. Ipotizzare un’intesa tra politica e Ravenna Teatro per epurare gli spettacoli più “dirompenti” (per citare un’irresistibile espressione prude usata più volte) è non solo sbagliato, ma lesivo nei confronti dell’intelligenza del pubblico. I credenti dovrebbero far pace col mondo, e, se non proprio porgere l’altra guancia, almeno voltare le spalle alle offese. Esistono altri punti di vista e possono essere espressi, anche con turpitudine, anche con volgarità, anche con derisione.
Si è usato spesso l’argomento dei “soldi pubblici”: visto che è finanziato da tutti, deve piacere a tutti – o almeno non deve “urtare la sensibilità di larga parte del pubblico”. Ma si capisce subito quanto vaga e cangiante sia questa “sensibilità”, concetto totalmente inutilizzabile in sede artistica. L’artista che si autocensura per rispettare la sensibilità altrui è un po’ come il medico che non dice al paziente di avere un tumore per paura di farlo star male: non serve a nulla. E ancora: chi può avere la pretesa di conoscere la “sensibilità” del pubblico in anticipo? Il Grande Fratello (per fare il nome di un programma citato durante la discussione) con la sua volgarità trash urta senza dubbio una minoranza del pubblico italiano, e non si sono mai viste mozioni parlamentari o letture di poesie riparatorie fuori dagli studi televisivi di Cinecittà.

Volantinaggio Popolo Della Famiglia

Militanti del Popolo della Famiglia agitano i rosari di fronte al Teatro Alighieri

945 briciole

E allora, infine, cos’è fuori posto? Da dove viene questa sensazione di inattualità? Nasce dai numeri raccolti dalla destra. Il consiglio ha discusso per tre ore buone di uno spettacolo che è stato visto da 945 spettatori. «Troppo pochi!», sbotta la pasionaria Gardin, criticando la gestione di Ravenna Teatro. Sì, troppo pochi, anche solo per discuterne – ma la gestione di Ravenna Teatro non c’entra nulla. Ravenna Teatro fa il possibile in mezzo al deserto.
Il numero fa esplodere le contraddizioni dei due tipi di narrazioni fatte: nessun attentato alla morale, nessun golpe alla libera espressione. La questione precede tragicamente le arringhe fatte in consiglio.
Mettiamo pure che tutti e 900 gli spettatori siano rimasti indignati dallo spettacolo: ce ne sono altri 100mila che non sanno nemmeno che Delitto e castigo è andato in scena. Ce ne sono altri 100mila che non sanno nemmeno chi è Konstantin Bogomolov, né saprebbero capire il significato del romanzo di Dostoevskij.
Stiamo parlando di briciole, stiamo sventolando fantocci novecenteschi che non significano più assolutamente nulla per la grande maggioranza degli abitanti di questa città e di questo paese. Questo è inattuale, questo è fuori posto.
Il “diritto” e il “piacere dello scandalo” di Pasolini non esistono più, e alla base di questa refrattarietà allo scandalo non c’è solo una ragione estetica. Non è per eccesso di scandalo che non ci scandalizziamo più.
È che siamo proprio ignoranti. È che, al di là di tutti i proclami ufficiali, Ravenna si allinea e fa parte di questo paese, che è un paese con determinate caratteristiche. Come ad esempio, per citare l’ultimo rapporto Istat, i suoi 30 milioni di persone alfabetizzate che non leggono nemmeno un libro all’anno. Come ad esempio il suo 80% di analfabeti funzionali, secondo il compianto De Mauro.
Per questo motivo parlare di scandalo, di libertà d’espressione, di censura è totalmente fuori posto, è la pagliuzza che distoglie dalla trave. La maggioranza degli elettori non si renderebbe nemmeno conto di fruire di un cartellone censurato, perché tanto a teatro non ci va. E se anche ci andasse, non si renderebbe conto di stare assistendo a qualcosa di blasfemo, perché non è in grado di decifrare ciò che vede.
Questo è lo scandalo. Questo è inattuale. Di questo, di allargare la base della fruizione culturale, si dovrebbe discutere in consiglio, invece di strumentalizzare delle sciocchezze mezzo riuscite congegnate a bella posta per catturare l’attenzione di qualche gonzo.

A chi interessa approfondire ecco la mia recensione allo spettacolo in scena a Ravenna

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