Otto tesi su Antonio Rezza. Una non-recensione di “Pitecus”

Rezza PitecusUno. Le risate non sono tutte uguali. Si può ridere di pancia, di testa, di gioia, di imbarazzo. Applicare il metodo fenomenologico alla risata significa, in questo caso, comprenderne la natura. Per capire qual è il segreto dell’efficacia della comicità di Antonio Rezza è necessario perciò analizzare prima di tutto di che tipo siano le risate suscitate dai suoi spettacoli.

Due. Gli spettacoli di Rezza si compongono di tre elementi: uno spazio, dominato dalla scenografia di Flavia Mastrella, parte integrante del tessuto narrativo; un corpo, quello del performer, che interagisce con essa, venendone allo stesso tempo deturpato e potenziato; un testo che, sebbene contenga una grande varietà di scene e personaggi, è solitamente pensato per una sola voce.

Tre. Rezza è allo stesso tempo tutti i personaggi e nessuno di questi. Indossa le varie voci come fossero delle maschere. In questo modo il corpo del performer rimane libero di rimanere uguale a se stesso, alleggerito dalla necessità di interpretare una psicologia. Non si può dunque parlare di personaggi, di attore, di battute, di drammaturgia classicamente intesa. I testi di Rezza somigliano più alla traduzione scenica di una psiche dissociata. Il suo corpo è attraversato da voci che, pur essendo sue, non gli appartengono.

Quattro. Gli sketch di cui si compongono i suoi spettacoli risultano dunque costitutivamente schizofrenici. Ma come ogni follia, anche quella di Rezza ha un suo metodo. I suoi sketch originano da una situazione che viene deliberatamente portata alle estreme conseguenze logiche. Ogni passaggio dialettico è obbligato, consegue da quello precedente. Non è concesso alcuno spazio alla demenzialità o al non sequitur. La follia che fa ridere il pubblico è il precipitato di una riflessione acuta e cristallina, patologicamente razionale, che ci costringe col suo rigore ad accettare le conclusioni assurde a cui perviene.

Cinque. Ogni sketch impone dunque al pubblico le sue regole, i suoi tempi, i suoi ritmi. Non è lo spettacolo a dovere conformarsi al pubblico, ma viceversa. L’applauso, l’unico strumento di potere riservato alla platea, diventa quasi un elemento di disturbo per il performer, che infatti, quando possibile, cerca di controllarlo, ora anticipandolo, ora frenandolo. Lo spazio scenico abitato da Rezza diventa così spazio di potere: porzione di mondo nella quale è vietata e annullata ogni altra volontà se non quella del performer; porzione di mondo nella quale è abrogata la possibilità di ogni dissidenza logica; porzione di mondo che traduce in modo assurdo i rapporti di forza esistenti nella nostra realtà. Questa onnipotenza del performer nei confronti del pubblico scatena un rapporto sostanzialmente analogo a quello conosciuto come “sindrome di Stoccolma”, quando la totale dipendenza psicologica che subiamo dal nostro aguzzino si traduce in amore e ammirazione.

Sei. La risata del pubblico di fronte agli sketch di Rezza è dunque, a ben vedere, una risata forzata. Meglio, una risata che nasce proprio dalla coscienza della sua inevitabilità. Siamo costretti a ridere di fronte a conclusioni assurde che non sapevamo di condividere; siamo costretti a ridere in tempi e ritmi impostici dal performer. Rezza, come ogni comico che si rispetti, non ride mai perché è già cosciente che le sue assurdità non sono altro che l’importazione scenica di quelle già presenti in società. Il performer sembra quasi soffrire degli scoppi d’ilarità in platea. Allo stesso modo, il pubblico si rende conto di non stare assistendo a uno spettacolo comico tradizionale, dove si ride di un personaggio: il pubblico ride di se stesso, perché è costretto a riconoscersi come il principale artefice dell’assurdo che viene messo in scena.

Sette. In questo senso la risata suscitata da Rezza si può definire essenzialmente satirica. Sebbene per molti aspetti diversa dalla satira tradizionalmente intesa (non ci sono precisi riferimenti a fatti o personaggi dell’attualità, non esprime quasi mai le opinioni dell’artista), anche la comicità di Rezza si nutre delle contraddizioni già presenti nella società reale. La techne del performer consiste nella capacità di individuare queste contraddizioni e gonfiarle, fino a farne emergere tutta l’assurdità che non sapevamo vedervi.

Otto. Rezza costringe il pubblico a ridere di se stesso con un piacere direttamente proporzionale al disprezzo che nutre per esso. Lo odia in quanto frazione di una società apparentemente civile, ma in realtà del tutto priva di umanità; lo schifa per la sua ebete cecità verso le miserie dell’esistenza. Rezza è il dittatore della risata che ci costringe ad ammettere che la follia della scena è solo un pallido riflesso della nostra.

 

 

Pitecus

di Flavia Mastrella, Antonio Rezza

con Antonio Rezza

habitat: Flavia Mastrella
(mai) scritto da: Antonio Rezza
assistente alla creazione: Massimo Camilli

disegno luci: Mattia Vigo

organizzazione generale: Stefania Saltarelli

macchinista: Andrea Zanarini

Sartoria Nennella

produzione: REZZAMASTRELLA TSI La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello

ufficio stampa: Chiara Crupi

comunicazione web: Silvia Vecchini

Visto allo Spazio Tondelli di Riccione il 10 febbraio 2018

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