Abitare Primo Levi: l’evocazione – iperrealistica – del caro estinto di Fanny & Alexander

Andrea Argentieri Maratona Levi

L’attore Andrea Argentieri nei panni di Primo Levi

Primo Levi e Luigi De Angelis camminano fianco a fianco. Il primo indossa una giacca grigia e i proverbiali occhialoni squadrati, porta con sé una vecchia borsa di pelle. Il secondo ha uno zaino sulle spalle. Parlano fra loro, perdendosi nella penombra di via Guaccimanni a Ravenna, diretti verso la biblioteca Classense per la conferenza sulla chimica.

Non è l’inizio di un improbabile romanzo fantascientifico, ma la scena che più mi è rimasta impressa della Maratona Levi firmata da Fanny & Alexander. Non me ne vogliano i diretti interessati, ma è stato questo momento di raccordo, che non rientrava in nessun modo nello spettacolo vero e proprio, che mi ha commosso di più. Qui più che altrove emergono la dedizione al personaggio e l’accuratezza iperrealistica con cui i Fanny & Alexander hanno preparato questo progetto: l’attore deve abitare Levi anche fuori dalla scena, fuori dalla finzione teatrale.

L’intero trittico dedicato al grande scrittore torinese trasuda questo impegno alla mimesi. Andrea Argentieri ha lavorato sulla voce (arrochita quanto basta, venata da un signorile piemontese) e sulla gestualità per aderire il più possibile alla realtà storica. De Angelis ha virato l’attenzione registica sui materiali audiovisivi delle teche Rai, evitando il più possibile la parola scritta per concentrarsi su quella viva, documentale, delle interviste rilasciate da Levi.

Il risultato di questo lungo studio non è soltanto un’eccezionale spettacolo itinerante (la prima parte ambientata in uno studio privato; la seconda nella sala Dantesca della Classense; la terza in Consiglio comunale). Mi verrebbe da dire, anche a costo di suonare ridicolo, che il risultato è soprattutto una sorta di esercizio medianico. Quasi una seduta spiritica collettiva per evocare un caro estinto attraverso il medium del corpo dell’attore.

Già durante la prima fase dello spettacolo, Se questo è un uomo, dopo qualche minuto davanti ai nostri occhi non vediamo più l’ottimo Argentieri; vediamo e sentiamo Levi in persona. Amiamo i mezzi sorrisi e modi cortesi dell’attore, così come abbiamo amato quelli dello scrittore; ci colpiscono le sue parole fredde e precise quasi le sentissimo dalla viva voce del testimone di Auschwitz.

Qui sta il segreto dell’iper-realismo scelto dai Fanny & Alexander: lungi dall’essere un virtuosismo, si giustifica per una doppia ragione. La prima, come già detto, per realizzare questo passaggio medianico e rendere presente un’assenza ormai lontana (e, ahinoi, oggi un po’ snobbata); la seconda, per omaggiare la filosofia della scrittura leviana.

La scrittura di Levi, ossessionata dall’esattezza, dall’aderenza alla realtà, dalla verificabilità, dalla brevitas. Uno stile che deve molto alla letteratura anglosassone e che oggi andrebbe indicato come modello in tutte le scuole italiane (come già suggerito da Claudio Giunta in un suo recente saggio). La scrittura di Levi non è solo pervasa dall’impegno alla testimonianza, ma è anche un monumento al rispetto dell’intelligenza del lettore.

Anche per questo mi pare che Se questo è Levi sia, fra gli spettacoli visti della compagnia ravennate, quello più propriamente etico. I Fanny & Alexander ci avevano già abituato a profonde riflessioni politiche (Discorso grigio, We Need Money! – a modo suo anche Him); questa maratona è soprattutto etica perché l’esempio di Levi – filtrato e montato magistralmente attraverso la scelta delle interviste da De Angelis – ci insegna un modo di vivere e di comprendere più alto.

Levi ci mostra l’impegno alla realtà, allo sguardo libero da dogmi, allo studio profondo dei rapporti fra le cose. Il suo super-realismo letterario, radicato nel metodo scientifico, ci insegna a giudicare in modo ponderato e a non dare per scontato niente («Per i criminali di guerra nazisti provo solo curiosità. Sono incapace di odio», ammette con un sorriso), senza però cadere in un lassismo morale («Se fossi dio sputerei la preghiera del mio compagno ebreo ungherese»). La frase deve essere come una formula chimica: inattaccabile e commisurata alla realtà.

È soprattuto ne Il sistema periodico, la seconda tappa della maratona a forma di conferenza pubblica, che Levi ci racconta questo approccio alla scrittura, schiudendo al tempo stesso il suo aspetto più umano. Qui ci racconta del suo lavoro di chimico, della sua formazione universitaria; parla sognante di distillazione e alchimia; ripercorre la memorabile riscoperta dell’amore dopo l’esperienza dei lager.

L’ultima fase del progetto è anche quella a mio avviso più interessante e sperimentale. Dopo la conferenza pubblica, Levi si sposta in Municipio per un question time, sollecitato a rispondere alle domande dirette degli spettatori. Uno stratagemma teatrale efficace, che, nonostante qualche sbavatura tecnica, ha svegliato l’attenzione della platea ravennate, solitamente timidina. Si entra qui nel capitolo più doloroso della sua produzione, quello dedicato a I sommersi e i salvati: il ruolo e il significato della memoria; l’universo concentrazionario; il ricordo delle violenze subite.

Chissà che i Fanny & Alexander non cadano nella tentazione più ovvia e naturale di questo spettacolo, chiudendo così un cerchio ideale: quella di portarlo negli stessi luoghi abitati da Levi – il suo studio, la sua università, la sua biblioteca. Un ultimo omaggio al suo super-realismo.

p.s. Sedotto dalla bravura di Argentieri durante le tre tappe della maratona, non ho potuto fare a meno di confermare un sospetto che avevo già da qualche tempo. Primo Levi non è stato soltanto un grande prosatore, né l’eccezionale sopravvissuto alla più terribile catastrofe umana del ‘900. Primo Levi è stato uno dei nostri pensatori più alti, capace di tenere assieme semplicità e profondità, impegnato in un razionalismo critico e adogmatico come all’estero la Arendt o Karl Popper. Levi non ci insegna una dottrina, ma un metodo critico: ed è il regalo più prezioso che possano farci.

Se questo è Levi
con Andrea Argentieri
a cura di Luigi De Angelis / Fanny & Alexander

Visto a Ravenna l’11 ottobre 2018

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