Tre one-man-show e “Mario e Saleh”, spettacolo che fa ben sperare

Oscar De Summa

Oscar De Summa

Una domanda che mi faccio spesso quando sono a teatro, è cosa renda tale il pubblico. Quando il pubblico è pubblico, e non spettatore?
E c’è differenza fra i due? Steso sul divano a guardare un film su Netflix, sono diverso dal me stesso che, bestemmiando piano, cerca di far stare le sue gambe dentro il perimetro di una poltroncina? E se una differenza c’è, passa semplicemente dall’esser-ci, ovvero dall’essere lì, presenti, insieme? Ma anche a teatro si può essere folla anonima, anche a teatro si può essere coscienze infelici.

Sono domande che vanno e vengono. E vengono specialmente quando in platea origlio di quelle osservazioni stupide, ma stupide al punto da chiedersi: se alla fine di tutto lo spettacolo solo questo è rimasto, a chi ha parlato davvero l’artista? Chi aveva davanti? Per cosa tutta quella fatica? Cosa non ha funzionato: l’opera? L’interpretazione? O più semplicemente è questione di analfabetismo funzionale? Non ho risposte sicure; anche se a volte penso che ci sia davvero pubblico solo davanti a vere opere, ovvero a quei rarissimi prodotti dello spirito capaci di attentare a una visione del mondo. Oggi più che mai, in tempi di reazione, abbiamo bisogno di rischio, di pericolo.

Purtroppo la mia guida teatrale non ha le antenne abbastanza lunghe per segnalarvi questi lavori. Ma ci prova sempre. E dunque, tralasciando di citare Un nemico del popolo, di cui ho già chiacchierato con Massimo Popolizio, passo a un altro spettacolo della stagione ravennate.

Parlo di Mario e Saleh, in scena il 6 marzo al Rasi, scritto e diretto da Saverio La Ruina, fondatore nel ’92 della compagnia calabrese Scena verticale, nonché dal ’99 direttore artistico di uno dei festival teatrali più interessanti della scena italiana, ovvero la Primavera dei Teatri di Castrovillari. Il curriculum di La Ruina fa ben sperare che questo spettacolo, incentrato sull’incontro-scontro fra due uomini di religioni diverse (in scena lo stesso La Ruina e il migrante mussulmano Chadli Aloui), possa superare i limiti angusti di questo tòpos, ormai francamente esausto, ed esplorare nuovi territori drammaturgici.

Proseguo e chiudo segnalando tre one-man-show sparsi per le province romagnole. Partiamo il 5 marzo al ridotto del Fabbri di Forlì, dove Michele Di Giacomo, attore cesenate, porta in scena la ricostruzione storico-drammatica I fatti della Uno bianca. Si tratterà di una riduzione in versione radiodramma dello spettacolo Le buone maniere, scritto da Michele Di Vito. Ricostruzione doverosa e interessante, soprattutto per chi, come il sottoscritto, sa troppo poco di quella banda di poliziotti deviati che, fra l’87 e il ’94 uccise più di 24 persone in Emilia-Romagna.

Il 7 marzo, al Mentore di Santa Sofia, Ascanio Celestini porta il suo nuovo lavoro Barzellette, spettacolo tratto dalla sua fatica editoriale omonima pubblicata per Einaudi. Così lo stesso Celestini me lo compendiava in un’intervista di qualche tempo fa: “Nella scorrettezza delle barzellette abita spesso una verità molto semplice: è una specie d’ascensore dell’inconscio”.

Concludo ad anello, a Rimini. Al Mulino di Amleto, il 14 marzo, va in scena lo spettacolo Stasera sono in vena, di Oscar De Summa, esponente ormai ben avviato del teatro di narrazione italiano (e non solo). Non fatevi confondere dal titolo da avanspettacolo: si tratta di una narrazione piuttosto densa, ambientata in Puglia: un racconto che affresca gli anni ’80 della droga e dalla Sacra Corona Unita, screziandoli coi ricordi dell’adolescenza dell’autore.

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