Amadou Kaba: dopo l’odissea il sogno di fare l’ingegnere

Rimasto orfano, dalla Guinea parte verso l’Italia ma viene rapito e imprigionato due volte e oggi racconta: «La Libia è l’inferno»

Matematico

di Matteo Cavezzali

In quel furgone non c’era più ossigeno. Non si riusciva a respirare con quel caldo, con quel buio. Erano quaranta persone, accalcate le une sulle altre. Quando si è accorto che accellerava bruscamente ha capito subito che stava succedendo qualcosa di brutto.

Era in Libia da diverse settimane Amadou Kaba, e aveva rischiato la vita numerose volte. Chi ha il volto scuro, come il suo, è subito preso di mira dalle bande armate.
Il furgone continuava a correre, sbandava, si sentivano degli spari. Dovevano essere inseguiti. Poi, ad un tratto, uscì di strada e si ribaltò. L’impatto a quella folle velocità, con quaranta persone a bordo, fu devastante. I corpi si ammassarono gli uni sugli altri. Sbattevano, si schiacciavano, era inutile tentare di liberarsi. Quando finalmente qualcuno aprì il portellone le persone iniziarono sanguinanti a scendere.

Due corpi però rimasero lì, su quel furgone. Una bambina di nove anni e suo fratello di dieci. Amadou ci aveva parlato prima di salire, erano spaventati. Gli aveva detto parole di conforto, frasi un po’ ingenue forse, ma solo per tranquillizzarli. Tremavano di paura, gli aveva promesso che tutto sarebbe andato bene. E ora i loro corpi giacevano lì. Uno degli uomini con il kalashnikov gli urlò di portare fuori i minuscoli cadaveri e di lasciarli al margine della strada. Fu in quel momento che si accorse di non riuscire a muovere un braccio. La spalla si era sfracellata durante l’impatto.

La banda armata li rapì e li mise in una prigione, finché qualche familiare non fosse riuscito a pagare un riscatto. Amadou però di familiari non ne aveva. Un altro incidente aveva rovinato la sua vita quando stava a casa, a Conakry in Guinea. Di ritorno dalla festa per la fine del ramadan un camion aveva travolto l’auto su cui erano suo padre e sua madre, uccidendoli entrambi. Era rimasto solo, aveva appena sedici anni. Il dolore era stato troppo devasatante da sopportare. Non riusciva più a studiare, non aveva la forza per fare niente, si sentiva perduto. Un amico per fortuna aveva insistito. Gli aveva parlato di un posto dove era possibile ricominciare tutto da capo: l’Italia.

Ma quanto dista l’Italia? E in che direzione è? Per Amadou “Italia” era solo una parola, senza una collocazione. Sapeva che alcune squadre di calcio erano italiane, come la Juventus, l’Inter e forse anche il Barcellona. L’idea di quella nuova speranza gli aveva ridato la vita. Era emigrato in Mali, per ricominciare, lavorando in una fabbrica di vetri, aveva messo da parte un po’ di soldi per provare ad andare in Italia. E ora quella banda di paramilitari gli aveva portato via tutto per farlo uscire di prigione. Aveva chiamato uno zio, e gli aveva detto che sarebbe tornato indietro. Aveva fallito, non aveva più soldi per pagare i passeur per il tragitto in mare. Volevano tanti soldi, troppi. Lo zio gli disse che non poteva tornare, che era troppo pericoloso e riuscì a fargli avere i soldi necessari. La nave partì alle 10 ma dopo qualche ora di navigazione fu affiancata da un’imbarcazione di un altro gruppo di miliziani e Amadou si ritrovò ancora in un carcere. «La Libia è l’inferno. Ci sono gruppi che lottano tra loro per il controllo. Anche i bambini girano armati. Non credevo potesse esistere un posto così terrificante». Dice tenendosi le mani sulla testa. Ha un viso regolare, tratti che paiono disegnati, pelle scurissima che fa risaltare il bianco degli occhi, commossi dal ricordo di quei drammatici giorni.

Oggi Amadou ha 19 anni, è seguito dallo Sprar della coop Camelot e frequenta le medie, oltre a studiare italiano e lavora al Cinemacity, dove strappa i biglietti. Gli piacciono i film, è un fan di Guerre Stellari, soprattutto del personaggio di Han Solo che guida quella astronave un po’ scassata che quelle macchine usate che girano per le strade della sua città, Conakry. Però la sua vera passione è la matematica. «Mi piace moltissimo. Appena ho un po’ di tempo libero mi metto a studiare. Sogno di diventare ingegnere. Quando lo dico la gente si mette a ridere, come se avessi detto una fesseria, ma io so di potercela fare. Ci vorrà del tempo, ma non è impossibile. Ho fatto cose più pazzesche per riuscire a essere qui adesso».

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