La maturità dei Sunday Morning, con gli Stati Uniti nel cuore

Sunday Morning FourCi si perde volentieri, dentro questo Four. E una volta perdute le coordinate, il rischio è quello di pensare di avere in cuffia un disco americano. Ed è questo forse il complimento più grande che si può fare ai cesenati Sunday Morning, non tanto perché malati di esterofilia, ma perché il loro suono sembra nascere proprio da lì. Non si sa se veramente “nelle praterie libere e infinite del Southwest, mentre alle spalle risuona il sound del fiume Mississippi” – come recita la cartella stampa, rendendo bene l’idea – ma di certo si sente tutto l’effetto che ha avuto sul cantante e leader della band, Andrea Cola, un periodo di alcuni mesi da assistente all’Esplanade Studio di New Orleans, al fianco di una leggenda come Daniel Lanois, dove sono state scritte alcune di queste 10 canzoni.

Così come si sente l’influenza di Micah P. Hinson, di cui hanno aperto nel 2017 il tour italiano. O di altre band contemporanee che pescano a piene mani dalla tradizione del folk-rock americano, come gli Okkervil River, per esempio. O dei grandi classici, naturalmente, da Neil Young all’ultimo Johnny Cash, da Bob Dylan ai Big Star.

Come si sarà capito, non è l’originalità quello che cercano i Sunday Morning, che con il loro quarto album raggiungono però la loro maturità artistica grazie a un suono più dilatato (ne è un manifesto l’iniziale, minimale, “If I Go”) e sognante (vedi “Dreamer”, non solo per il titolo).

Un album dove le chitarre acustiche e il pianoforte prendono spesso il sopravvento (anche se non mancano momenti ritmati, come una quasi psichedelica “Power” o la piuttosto scolastica “Can’t Stand Still”), dove la voce di Cola tocca una profondità mai raggiunta (molto hinsoniana nella bella “May your heart”) e dove tutto il gruppo suona con un’amalgama invidiabile. Non se lo perdano gli amanti del genere.

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