La Rimini di Fabrizio De André, isola di Circe dai contorni sfumati

Fabrizio De André Riminidi Matteo Cavezzali

Uno dei libri più belli scritti sulla Romagna non è un libro. Sto parlando di Rimini di Fabrizio De André.
Da quando il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato a Bob Dylan, noi che sosteniamo da sempre che i testi di alcuni cantanti debbano essere paragonati alla poesia possiamo girare a testa alta. De Andrè è sicuramente autore dei alcune delle poesie più intense del cantautorato italiano.
Il musicista genovese nel 1978 decide di dedicare un album alla città di Rimini, lavorando assieme a Massimo Bubola. Sono storie di donne, di mare, prostitute, tossicodipendenti, emarginati, ma anche canzoni che parlano di politica, negli anni della delusione e della fine del sogno utopistico sessantottino. Lasciando ad altri lo studio della musica di De Andrè, che in questo album sembra più legata al folk americano che alla chanson francese degli album precedenti, ci limiteremo a concentrarci sui testi, che sono particolarmente lirici, e lasciano spazio a numerose interpretazioni.

Mentre in album precedenti, come Non al denaro non all’amore né al cielo (1971) e Canzoni (1974) De Andrè narrava storie lineari, qui il paesaggio sembra prendere contorni più sfumati e lasciare a chi le ascolta una maggior libertà interpretativa.
La prima traccia, “Rimini”, parla di una ragazza al centro della vita dei giovani che si riversano in riviera per divertirsi ed essere senza pensieri, ma si intreccia con un argomento drammatico e di attualità come l’aborto (che sarà al centro del famoso referendum tre anni dopo). «Tra i gelati e le bandiere» Rimini pare il tempio del divertimento di massa, un’isola di Circe in cui dimenticare le fatiche dell’inverno, ma è anche il teatro di «un amore perso, a Rimini d’estate». Teresa, la figlia del droghiere, ha pianto tutte le sue lacrime per essersi innamorata del bagnino ed aver dovuto abortire, ha gli «occhi secchi» e le «labbra screpolate». Il suo dolore però non è solo quello di aver perduto l’amore, ma che per questo suo comportamento in paese è vittima di molte chiacchiere, come si capisce dalla strofa: «non fate più scommesse sulla figlia del droghiere».
Il testo è onirico ed enigmatico come certe poesie di T. S. Elliot. Nel sogno ad occhi aperti di Teresa compare Colombo e la promessa di un nuovo mondo. La strofa che pare racchiudere il senso della delusione della protagonista, Teresa, come quella di Colombo, recita così:

ma voi che siete uomini
sotto il vento e le vele
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene

Nelle altre canzoni del disco non ci sono altri riferimenti espliciti alla città romagnola, ma decidendo di intitolare l’album a Rimini, De Andrè pare suggerire che l’immaginario di quella città negli anni ’70, rappreseti in toto la gioventù italiana, i suoi sogni, le sue paure. Dal giovane omossessuale protagonista di Andrea che «si è perso e non sa tornare» che perde l’amore, ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia. Mettendo assieme due tematiche che il luogo comune vorrebbe lontane: l’eroismo del soldato e l’amore gay.
In “Sally” narra la storia di un ragazzo che vuole diventare adulto, lascia la famiglia ed entra in contatto con la droga. A Rimini De Andrè e Bubola dedicano anche una ballata senza parole, “Tema di Rimini”, perché la musica di De Andrè può raccontare anche storie non scritte.

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