Dante Arfelli, dal successo mondiale de “I superflui” di settant’anni fa all’oblio

di Matteo Cavezzali

220px Dante ArfelliC’è un altro Dante a Ravenna. Anche lui scrittore, ma assai meno fortunato nella gloria post mortem. Il suo nome è Dante Arfelli e la sua vicenda, dimenticata e sepolta nell’indifferenza generale è quantomai affascinate. Arfelli nato a Bertinoro nel 1921 e vissuto per diverso tempo a Cesenatico, divenne un autore famosissimo con il suo esordio letterario. Aveva soli 28 anni quando uscì
I superflui (Rizzoli 1949) che divenne un libro di culto dell’Italia del dopo guerra, acclamato dalla critica e amato dal pubblico. Vinse il Premio Venezia (oggi Premio Campiello) e il poeta Palazzeschi definì il suo libro «un’opera amara, cruda, aspra, anche disperata se dal fondo della sua chiusa tristezza non si levasse una trepida luce di umana simpatia».
Il successo arrivò poi in Francia e scavalcò l’oceano approdando in America. A pubblicarlo oltre oceano è Scribner, l’editore di Hemingway, e il libro ha un successo pauroso: oltre 800 mila copie, cosa inaudita per un autore europeo. Sul “New Yorker” il famosissimo critico Anthony West esalta questa nuova voce della letteratura internazionale. Gli autori europei che piacevano agli intellettuali americani in quel periodo erano Camus e Arfelli, pare strano oggi che Camus è diventato un classico e il secondo è scomparso.

I superflui è un romanzo vicino come tematiche al neo-realismo, ma che se ne discosta per stile e per la accuratezza della forma, racconta la generazione di giovani che tenta di ricominciare dopo i disastri della guerra, tra sconforto, smarrimento e quella amara sensazione di sentirsi, appunto, superflui.
La sfortuna di Arfelli però comincia presto. Due anni dopo l’esordio pubblica La quinta generazione (1951) che va anche questo molto bene, però Dante vive male il successo. Essere sempre sotto l’occhio dei media ed esposto al giudizio degli altri lo infastidisce, lo irrita, lo deprime. Così decide di smettere di pubblicare quello che scrive. Nel 1952, al culmine della fama, Arfelli si ritira con questa dichiarazione: «La vita letteraria mi ha molto scoraggiato. Io mi sento tagliato fuori, forse perché sto in un paese e cerco di seccare gli altri il meno che posso? O sono antipatico, o do fastidio, non capisco… il pubblico non ha più voglia di leggere, la vita moderna distrae in tanti modi che la lettura è l’ultimo e il più faticoso… Scrivere è quasi una impresa disperata… io ne sono sfiduciato. A volte penso che se avessi dei soldi me ne infischierei della letteratura. E di tutte le beghe e le noie di tanta gente sciocca che ci vive e comanda».

Arfelli esce di scena e non farà mai più ritorno. Usciranno altre cose nel tempo, piccole antologie di inediti curate da Walter Della Monica, una raccolta di racconti negli anni ’70 intitolata Quando c’era la pineta e il malinconico memoir autobiografico Ahimè, povero me nel 1993, due anni prima di morire, ma di fatto il suo nome ormai è sparito. Arfelli potrebbe diventare un mito per la sua assenza, un uomo avvolto nel mistero, come Salinger, ma questo non avviene, si è lasciato troppi nemici invidiosi alle spalle, e così viene spazzato via, prima dalle cronache e poi anche dalle librerie.
Quando il suo stato di salute si aggrava viene ricoverato in una pensione per anziani a Marina di Ravenna. È ancora in vita e già è dimenticato da tutti e dopo la morte il suo nome viene dimenticato, cancellato come una scritta sulla sabbia. Nel 2019 sono stati i 70 anni dal successo de I superflui e nessuno se ne è accorto. Nel 2020 ricorreranno i venti anni dalla sua morte e nessuno dei suoi libri è ormai più disponibile in commercio.
E dire che Arfelli aveva vissuto una stagione intensa della cultura italiana, amico di Marino Moretti a Cesenatico, di De Pisis che regala quadri all’amico, aveva frequentato il salotto della Bellonci a Roma; e stretto amicizia con Fellini e Berto.

Non resta nulla di tutto quello che è stato Arfelli, che nel titolo del suo successo aveva già scritto il suo amaro destino, quello di essere dimenticato, come fosse un autore superfluo.

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