“In exitu”: un Roberto Latini triviale e lirico ci sbatte in faccia Testori, al nuovo teatro Rasi

Latini In Exitu

Eccoci dunque seduti sulle nuove seggiole del Rasi. Bello ritornare in quello che, senza tema di smentita, dopo i lavori di rinnovamento si può definire il più bel teatro contemporaneo di Romagna.
Il disegno del progetto è elegante, minimale; la tribuna telescopica offre una visuale dall’alto, democratica e pulita; e i pannelli acustici, appesi ai muri come grossi scarabei, hanno nettamente migliorato la fruizione della sala. Un ottimo lavoro, davvero, che rende il Rasi uno spazio polifunzionale all’avanguardia per il contemporaneo: non ci resta che ringraziare (e lo faremo a lungo) tutti quelli che hanno lavorato a questo progetto e che l’hanno reso possibile.

Il primo appuntamento, dopo le giornate consacrate ai padroni di casa con Pianura e Farsi luogo, è stato In exitu di Roberto Latini. Lo spettacolo risale al 2019, ed è una riduzione dell’omonimo capolavoro di Giovanni Testori pubblicato da Garzanti nel 1988.
Siamo a Milano, naturalmente: in quella Milano anni Ottanta di lustrini e benessere, in cui l’edonismo nasconde la grande piaga dell’eroina che da un decennio sta falcidiando intere generazioni. Il protagonista del monologo è il ventenne Gino Riboldi, un Cristo drogato che si prostituisce nei bagni della Stazione Centrale (o “l’elefantessa”, come la chiama Testori) per procurarsi la sua “farinetta”.
Testori lo segue nelle sue ultime ore di vita; dà voce, con la consueta crudeltà umana, al travaglio interiore di questo capro espiatorio di una società indifferente, intrinsecamente nemica degli ultimi, poco prima che un’overdose lo stronchi per sempre sui binari della stazione.
È il momento estremo quello che Testori sceglie di mostrarci; quel momento in cui una vita si guarda indietro e brilla nella sua verità. In exitu, appunto: all’uscita, alla fine. O forse,  come nel Salmo 113, è la fine che prelude all’entrata in una nuova città celeste.

Inutile spendere troppe parole sullo stile di Testori: è la sua personalissima lingua, un continuo calembour di lombardo, latinorum, italiano antico, bestemmie e viscere, che trasfigura la realtà più abietta in un poema degli ultimi, allo stesso tempo triviale e lirico (“nel locale, nel loculo, nello culo, il paradiso”, “la tutankamica stassione”, le numerosissime apocopi, “maes”, “cameriè”, “capotrè”).
Quando si porta in scena Testori è quella lingua che bisogna abitare. E, benché nata per la lettura ad alta voce, non è per niente facile domarla. Ha la tendenza a scappare da sé, si prende il riflettore, si impone al pubblico con la forza dogmatica di uno schiaffo. Latini, in questo esercizio di controllo e addomesticamento per la scena, è stato un maestro. Si è lasciato contaminare dalla lingua di Testori senza mai rinunciare al suo corpo, alla sua voce, che raggiunge qui una vera perfezione virtuosistica.
Fin dai primi momenti dello spettacolo Latini si trascina, mezzo svestito, su materassi che riempiono la scena, a metà fra dormitorio e alcova; l’asta del microfono è una stampella, segno del vizio di Riboldi, certo, ma anche aiuto metaforico per reggere l’urto di questa lingua-mostro. L’inferno della dipendenza è raffigurato in questo incessante movimento circolare, un continuo insistere nella caduta, un errare che dopo pochi minuti cattura il pubblico e lo esaspera (quando si fermerà? Perché non si riposa? Quanto può andare avanti così?).

Davanti al Gino, una rete da tennis; poco più oltre, in proscenio, un binario triste, memento della fine del protagonista. Lo spettacolo non è fatto di molto altro, anche perché non ha bisogno di appigli esterni per stare in piedi. Anzi, verrebbe da dire che sono proprio gli apporti estrinseci al testo quelli che rischiano di incrinare gli equilibri.

Latini In Exitu ScenaPenso alle musiche di Gianluca Misti, fondatore, assieme a Latini e a Mugnai, di Fortebraccio Teatro: a tratti davvero troppo “filmiche”, finiscono per schiacciare la scena e assuefare il pubblico – e soprattutto con Testori c’è bisogno estrema attenzione per non esasperare il testo, già di per sé “drogato” di pathos.
E penso anche alla scena. L’immagine della palla da tennis che, in limine mortis, si gonfia alle spalle di Latini è esteticamente efficace e strappa un verso di meraviglia. Probabilmente è una di quelle scene che ti porti a casa e ti ricordi per un po’. Ma è funzionale alla rappresentazione o rischia di esaurirsi in puro effetto, in giochino intellettuale?

Infine, una breve e trombonesca considerazione sullo stato attuale della cultura italiana. Nel 1988 era possibile pubblicare un testo come In exitu: difficile, certo, quasi esasperante, respingente per buona parte del pubblico (e anche ieri sera non sono mancati sbuffi, lamenti, risolini in platea). Eppure, negli anni ’80, il mercato tollerava questi strappi alla regola (ancora per poco, in realtà).
Oggi? Sarebbe possibile oggi per un giovane autore proporre una drammaturgia così complessa senza sentirsi dare dell’elitario, dello snob, dell’inconsapevole? Ne dubito. Riproporre coraggiosamente Testori, come ha fatto Latini ieri, e come ha fatto qualche anno fa Roberto Magnani con Macbetto, ha anche questo merito: quello di mantenere aperte le maglie dell’arte alla possibilità di uno sperimentalismo – oggi che siamo abbonati alla medietà.

In exitu
dall’omonimo romanzo di Giovanni Testori
nell’adattamento, interpretazione e regia di Roberto Latini
musiche e suono Gianluca Misiti e Max Mugnai
luci e direzione tecnica Max Mugnai
produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi

Visto al teatro Rasi il 22 febbraio 2022

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