“Fammi male”: una lettura per scalare il tetto del mondo

Fammi Male Bertuzzi«Questo romanzo è il mio Himalaya», scrive Francesca Bertuzzi nei ringraziamenti che chiudono il suo quarto romanzo, Fammi male (Mondadori, 18.50 euro). E l’autrice, in realtà, invita anche il lettore a scalare la vetta più alta del mondo per seguire la crescita, quasi a ritroso, della protagonista Ana.

La ragazza ha 23 anni, trascorsi segregata in una città-clinica in Svizzera, dove il padre (con la madre che sovrasta e “domina”) esegue esperimenti clinici che tentano di superare le leggi della natura. Le cure, devastanti, cui è sottoposta le innescano incubi che sembrano squarciare il passato di un’altra giovane donna, Anabelle: la sorella morta 23 anni prima. E Ana vuole scoprire cosa sia successo allora, per fare luce su cosa stia succedendo “adesso”. Fugge dalla città-clinica, arriva sulla costa Adriatica, a Vasto (dove Anabelle è morta); trova l’alleanza di un’investigatrice privata, Arancia, e si immerge nel buio di un’indagine sull’abiezione dell’uomo.

Seguire Ana è, davvero, come scalare il tetto del mondo. Sensuale e violento, con una struttura narrativa dagli ingranaggi perfettamente oliati, Fammi male si legge d’un fiato grazie a un modo narrativo che tiene fino alla fine: è, infatti, raccontato sempre in prima persona singolare; ma non sempre si tratta della “stessa” persona; ed è così anche quando non sembra, quando la scrittura pare passare alla “terza” e il racconto assume il tono della favola (nera). Francesca Bertuzzi recupera poi un espediente letterario molto complesso da gestire e che pochi autori hanno sperimentato: è la vittima che indaga sulla “propria” morte. Viene in mente l’avvocato Matthew Hope nei due romanzi Il sangue di Matthew Hope e L’orsacchiotto strabico, nei quali il protagonista è in coma. L’autore era il grandissimo Ed McBain.

Ritorno in grande stile, quindi, per la scrittrice romana che sette anni fa aveva esordito con Il carnefice, ritratto di provincia in nero riscaldato dalla presenza di personaggi femminili di grande intensità. Una caratteristica che si ritrova, precisata e affinata, in Ana, in Arancia; nella stessa Anabelle; e, in realtà, anche nella madre. È a loro che Francesca Bertuzzi assegna il compito di cambiare il mondo. La cosa fantastica sta nel fatto che sia nel primo sia in questo, quarto romanzo, la missione in qualche modo ha successo.

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