Quell’irritante “Feste di Sangue” a Venezia

Forcellini Feste Di SangueTutta colpa degli amici. Il primo, lettore “forte” e competente, una volta mi ha chiesto: qual è il peggior giallo che ti viene in mente? Un altro è stato più esplicito: scrivi solo di romanzi che ti sono piaciuti? Dovresti dare qualche consiglio al contrario, del tipo: «Non aprite quella copertina». A sbloccare la situazione ci voleva una libraia sensibile e attenta (e incolpevole) che, per aiutarmi a scoprire nuovi autori, ha consigliato due titoli, entrambi ambientati a Venezia. Ecco, posso rispondere ai primi due: Feste di sangue di Paolo Forcellini (Cairo). Intendiamoci: non è il peggior giallo che abbia letto, ma sono rimasto scontento e un po’ irritato. Il commissario Marco Manente è un tipo tosto: strapazza la propria squadra, ma sa risolvere casi intricati. Come quello di un serial killer che strangola donne nelle calli più nascoste e lascia loro addosso un foglietto con due lettere, che un passo alla volta (una morta alla volta) arrivano a comporre un nome. Ama mangiare e bere, spara parole in dialetto quasi in ogni frase, sa la storia di Venezia a memoria. Infine ha una compagna, bellissima, che aspetta un bimbo. Inizia il malessere: è come se Salvo Montalbano avesse un clone in laguna. Fin qui niente di male: difficile descrivere poliziotti originali dopo Jules Maigret… E l’idea che l’assassino colpisca nei giorni di festa intriga. Le “schede” turistico/storico di Venezia, però, incagliano il racconto e l’idea di far discutere di tradizioni popolari Manente con un proprio ispettore di origine napoletane annoia. Qualche guizzo nella trama c’è e il finale, con una trovata consumata ma che funziona abbastanza, potrebbe risollevare la lettura. “Potrebbe”, ma non ce la fa, perché si arriva a pagina 235 sfiniti anche dagli errori. Un esempio: c’è l’ispettore della scientifica, che ammira il capo, arrossisce quando viene ripreso, ma è un’enciclopedia vivente. Quando vede Manente rosso in viso (per il troppo vino e lui non lo sa) commenta: «Il colore acceso delle sue ganasse mi fa pensare che sia soggetto a quelle fastidiose ondate di calore che sovente accompagnano la menopausa». E il commissario non reagisce? Non lo manda a quel paese? Andropausa, per l’uomo si chiama così… Che infine una poliziotta, Luciana Sambo, sia soprannominata “Ultimo Sambo” perché arriva in ritardo e perché assomiglia a Maria Schneider, quindi viene presa nel mezzo con battute sul prezzo del burro, nel 2017, quasi mezzo secolo dopo l’uscita del film, chiude il cerchio. Purtroppo male.
Ps.: l’altro romanzo si intitola La verità del serpente, di Gianni Farinetti. Vedremo.

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