“Vox” di Christina Dalcher? Meglio recuperare “Il racconto dell’ancella”

Vox Christina DalcherQuando un autore esordiente parte con un’idea “forte”, anche se non originalissima, dovrebbe curarla come fosse un bonsai. Controllarne la crescita con cura, lasciando che la potenza di quella storia possa dispiegarsi piano piano, fino a diventare un micro universo credibile e affascinante.
Vox, romanzo d’esordio di Christina Dalcher (Editrice Nord, traduzione di Barbara Ronca) si apre dando la sensazione di trovarsi di fronte appunto a una piccola quercia letteraria. Lo slogan da cui parte è efficace: “Se sei una donna e vivi negli Usa non puoi pronunciare più di cento parole al giorno”. La cosa ha una declinazione feroce: il governo, che segue le direttive di un guru puritano durissimo, indica le cose che possono fare e quelle vietate. Le trasforma, pena punizioni durissime che arrivano all’eliminazione fisica, in “angeli del focolare” afoni, che possono obbedire, procreare (solo dopo il matrimonio) e, appunto, tacere. Senza poter leggere, scrivere, gestire il proprio danaro.
Tutto questo mentre il resto del mondo va avanti come sempre. La protagonista, Jean Mclellan, studiosa di linguistica e neuropsicologa, si trova nelle condizioni di potersi ribellare, con la prospettiva di cambiare il sistema e ridare voce e libertà alle donne.

Non male, vero? Se a qualcuno viene in mente Il racconto dell’ancella di Margareth Atwood, ha colto nel segno: il riferimento a quel bellissimo romanzo è esplicito. Ma Vox sciupa l’occasione che aveva davanti e si trasforma un una storia banale, con gli elementi utili per arrivare sul grande schermo studiati a tavolino: un marito potente, comprensivo, ma che non contesta il sistema; il matrimonio si infrange anche perché lei ha un amante che le salva anima e corpo; poi pianti e morti innocenti da vendicare, azioni e complotti, fino alla chicca per un produttore politicamente corretto Made in Usa: l’Italia come paese felice, luogo della grande bellezza. «… Mi piace guardare le donne italiane. Parlano con le mani, con tutto il corpo, con tutta l’anima. E cantano», dice Jean Mclellan. Per altro, l’amante-scienziato che si mette al suo fianco è di origini italiane…

È possibile, se non certo, che l’intento di Dalcher fosse sottolineare una realtà preoccupante ed evidente: di fronte alle conquiste sociali delle donne, l’uomo reagisce con la violenza e l’oppressione, per restare a capo del “branco umano”. Quindi, come il movimento Mee Too, l’autrice voleva chiamare alla rivolta, restituendo voce (appunto) alle donne. Ma perde il filo, inventa congiure in stile Dan Brown, senza avere la stessa abilità nel gestirne l’evoluzione; sciupa addirittura una traccia che poteva rivelarsi straordinaria: il contrasto con il figlio adolescente che pensa come il guru, e che vorrebbe quindi mamma e sorella mute e obbedienti, servili. La ricetta comprende poi molto miele e un pizzico di peperoncino (ovvero sesso).
Un pregio? La scrittura va via liscia, senza intoppi né imperfezioni particolari, e tutto è raccontato in prima persona da Jean. Quattrocento pagine leggere, quindi. Ma a un romanzo, anche se di puro intrattenimento deve portare altro. Un consiglio? Recuperare Il racconto dell’ancella di Atwood, stampato nel 2017 da Ponte alle Grazie nella traduzione di Marco Papi.

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