A che gioco giochiamo?

LegoTra i tanti effetti, dai più drammatici ai più banali, che la pandemia in corso ha avuto sulle nostre vite, ce n’è uno al contempo piacevole e insidioso: il tempo per giocare.

Se il tempo che normalmente trascorrevamo a giocare con i nostri figli si riduceva a un paio d’ore a cavallo della cena, ora spesso si spalancano davanti a noi interi pomeriggi da passare tra Lego, bambole e trenini.

Questo mi ha fatto riscoprire una dimensione del tempo che avevo dimenticato da molti (c’è chi direbbe moltissimi) anni. Intanto la quasi totale assenza di uno scopo: mentre io voglio assolutamente completare la pista del trenino, scoprendomi quasi a farlo di fretta, neanche mi scadessero i termini di un appalto, mio figlio si perde in mille storie collaterali. Il treno inizia a volare, poi un sasso cade sulle rotaie, poi decidono tutti di farsi una pizza: insomma, un sincero entusiasmo per la complessità della vita, destinato, una volta adulti, a divenire insofferenza.

La difficoltà di reperire nuovi giocattoli (su cui ci sarebbe da discutere, ma lasciamo stare) ha spinto molti di noi all’acquisto compulsivo on line, che non intendo demonizzare, perché ha permesso di tenere viva nei più piccoli quella dimensione della sorpresa, dell’eccitazione al suono del campanello che annuncia il corriere, che in tempi di quarantena scarseggia parecchio. Nelle lunghe settimane di lockdown, il nostro parco macchine si è arricchito di un trattore per trasporti eccezionali, un camion della spazzatura quasi a grandezza naturale e una macchina spazzatrice che ora sparge allegramente per tutta la casa la temibile sabbia cinetica (mio figlio un giorno ha voluto anche una Barbie, che però ora non sa bene come impiegare in quanto sprovvista di patente D).

E tuttavia la cruda verità si è mostrata in tutta la sua evidenza: dai a un bambino un sacchetto di farina e la possibilità di spargerla in ogni dove, e rischi di far crollare irrimediabilmente le vendite di Amazon, turbando così i sonni di Jeff Bezos.

Discorso a sé meritano i mattoncini Lego (siano benedetti!), i cui possibili impieghi continuano a riservarci momenti di autentico stupore. A casa nostra ora abbiamo una modernissima ed efficiente isola ecologica interamente costruita coi Lego, riconvertibile tra l’altro in forno a legna e persino in campanile, a seconda delle necessità. Francamente non sorprende che i danesi siano considerati il popolo più felice al mondo.

Ora, una parziale ripresa delle attività ordinarie ci fa, giustamente, tirare un sospiro di sollievo, e speriamo davvero di poterci lasciare alle spalle l’angoscia, il dolore, la fatica che questo strano periodo ha portato con sé. Ma credo che molte cose sarà utile ricordarle, fare in modo che cambino la nostra percezione del mondo. Non ho mai creduto alla retorica del tornare bambini. Non lo credo possibile, e d’altra parte nemmeno utile o desiderabile. Ma possiamo imparare a lasciare a volte che siano loro a definire spazi e tempi, possiamo annoiarci, divertirci, gioire con loro. Possiamo, insomma, imparare a stare coi bambini. A starci davvero.

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