Mamme, al lavoro!

 

In Italia 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo la maternità. In Italia, secondo i dati Istat di febbraio 2020, su 101.000 nuovi disoccupati, 99.000 erano (ma c’è davvero bisogno di specificarlo?) donne.

Dal mio personale osservatorio (il parchetto sotto casa), non solo sono in grado di confermare questi dati, ma mi spingo addirittura a incrementarli: su 10 mamme di mia conoscenza, ben 4 hanno lasciato il lavoro dopo la maternità. Avendo la fortuna di lavorare in un ambiente particolarmente attento alle necessità delle madri lavoratrici, i tripli salti carpiati cui sono chiamate le donne nella gran parte dei casi mi saltano ancora più all’occhio. A quanto pare, nel mondo del lavoro, persino un appuntamento con l’amante è una ragione di assenza più accettabile di un’otite infantile. Se è la terza in un mese, poi, eventualità per nulla improbabile in cuccioli di umano sotto i 3 anni, apriti cielo: piuttosto dite che il criceto è depresso e dovete portarlo a spasso, c’è caso che riceviate più comprensione.

Ora, so che l’argomento dell’occupazione femminile è largamente dibattuto. Tutti amano dolersi dell’inaffrontabile problema: ministeri, sindacati, think tank di varia ispirazione.

Disponendo, tuttavia, di un punto di osservazione privilegiato (il sopracitato parchetto), mi sento in dovere di riportare le tesi delle dirette interessate. Chissà, magari a qualcuno possono interessare.

Tutte, e dico TUTTE, le neomadri di mia conoscenza loro malgrado pure neodisoccupate, avrebbero continuato a lavorare qualora la loro richiesta di part time fosse stata accettata. Non può essere un caso, dai.

Come dite? Aumentare i posti negli asili? Aumentare i congedi ai padri? Giusto, anzi doveroso. Ma risolve il problema solo parzialmente. Il punto vero è ammettere che la dicotomia tra donna in carriera e angelo del focolare, se mai è esistita, di sicuro non esiste più. La vita delle donne, e pure quella degli uomini, fugge dagli stereotipi e non è incasellabile in un mansionario o in un ruolo sociale e professionale. Nelle varie fasi della vita si possono avere necessità e disponibilità diverse, e perché mai sarebbe una bestemmia pensare di adattare il mondo del lavoro a queste necessità? Lavoro femminile significa un sacco di cose: emancipazione, indipendenza economica, inserimento in una rete sociale che in taluni casi può fare la differenza persino nel decidere di uscire da un contesto familiare violento.

Concedere il part time obbligatoriamente a chiunque abbia figli piccoli e ne faccia richiesta sarebbe, credo, un’ottima base di partenza. Come si finanzia una proposta del genere, dite? Beh, tra un pomeriggio al parchetto e l’altro, mi pare di aver letto che sono in arrivo montagne di soldi sotto il suggestivo nome di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E che io sappia, quando c’è da rimboccarsi le maniche in momenti di crisi e adattarsi a circostanze difficili, le donne non si battono.

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