“Essere oggi”: il Si Fest tra immortalità e caducità

Carolyn Drake Internat

Carolyn Drake, “Internat”

Who wants to live forever? si chiedevano i Queen mentre (ci piace immaginare) seduti su un divano metallizzato color Union Jack guardavano Christopher Lambert decollare i nemici in una spasmodica pulsione verso la sopravvivenza eterna. Quel tempo così atavicamente ostile che privava il protagonista di tutti i suoi affetti mortali oggi non lo abbiamo ancora eluso, né tantomeno dominato.

E il nuovo triumvirato alla direzione artistica del “Si Fest” (a Savignano sul Rubicone dal 14 al 30 settembre) vede uniti Roberto Alfano, Laura De Marco e Christian Gattinoni proprio nel comune intento di indagare questo presente, per un’edizione che punta a segnare una svolta: il connubio tra autori internazionali affermati, con la promessa di molti inediti in valigia, e le nuove leve della fotografia che stanno catalizzando non poche attenzioni. In diversi, portatori di una conturbante poetica che affonda a piene mani nella materia oscura dell’anima, degli anni, della scienza, delle nostre infinite maschere, cantastorie di altrettanti universi.

Così Murray Ballard ci parla di criogenica in dieci anni di letteratura odeporica per immagini, raccontando silenti sale asettiche, vapori gelidi e capsule frigorifere dove l’ostensione di reliquie tecnologiche oscilla tra credibilissimi marchingegni arrivati da un futuro prossimo e rudimentali bozzoli che paiono superati come gli effetti speciali dei vecchi film di fantascienza. Un giaciglio semi eterno per chi come lui ha pensato: «Chiaramente, il freezer è più attraente della tomba» e si è fatto ibernare (la testa o integralmente) attendendo con fiducia che sia la scienza a risolvere la morte.

Gli anni scivolano nell’autoanalisi visiva di Richard Renaldi con I Want your Love che tratteggia i momenti più privati della sua vita, quel bisogno di dare concretezza e forma all’immagine del sé e saziarsi di sentimenti che, dalle prime foto dell’infanzia, lo accompagnano fino agli amori e le situazioni dell’età adulta, con una tensione “riparativa” intimista che lascia comunque intravvedere sullo sfondo la società in cambiamento tra gli Anni ’80 e il 2016.

Indagine sulla natura umana, immagine come arte-terapia che passa anche nel toccante e coraggioso Internat di Caroline Drake all’interno di un orfanotrofio russo destinato a ragazze con problemi di disabilità, divenute adulte in un mondo segregato dove però il disagio è solo un sussurro leggero sublimato da chiome fulve, vestiti colorati, ciabatte che camminano vestendo passi invisibili. Dove pur nella struggente assenza di mondo e aria, riesce a farsi spazio, senza retorica o pietismo, la bellezza.

Di assenze e vento di mare racconta infine un giovanissimo (classe 1990) con il mappamondo in mano, gli occhiali da aviatore e il copricapo del nonno, ricreando la storia della sua famiglia attraverso raffinate evocazioni di traiettorie che trapuntano cieli e oceani: la messinscena genealogica di Francesco Levy cela agli occhi lo sciabordio delle onde marine per reinventare l’eco di migrazioni tra l’Italia e il Brasile che, con qualche misteriosa alchimia sinestetica, ce lo restituiscono.

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