Se Eron e Andreco si mimetizzano con l’archeologia

Eron YOU Spray Paint On Oldsiryan Mirror 2016
Qualcuno a Ravenna lo ricorderà ancora per – perdonate l’involontaria assonanza con il non fine adagio – il  “buco del muro del Mar” stuccato da un incauto operaio del museo che, grazie all’incredibile realismo, lo prese per un difetto della parete, non cogliendo l’insieme dell’effetto mimetico che lo collegava allo “specchio rotto” caduto da un immaginario chiodo.
Ma lui è un artista internazionale di preclara fama, oltre che – tutt’altro che scontato – dalla mano squisitamente rivelatrice d’accademia: il riminese virtuoso della bomboletta Eron, anima cresciuta a pane e writing già negli Anni’80, in Italia, che armato di spray riesce a ricreare pura e fantasmatica evanescenza. Le sue immagini trasudano dai muri come muffe umide di macabro e poesia, quasi fossero ombre polverizzate dall’atomica (come in “Soul of the wall” del 2014).

Ritenuto tra i migliori street artist italiani, presente tra gli altri alla Biennale veneziana e all’Italian Cultural Institute di New York, tra le sue prodezze ricordiamo in particolare l’aver creato un affre-sco a spray dentro una chiesa (San Marino di Riparotta a Rimini) e per l’opera “Soul of the sea” (2016) che, dipinta su un relitto navale con immagini di migranti, divenne virale.

Ora lo ritroviamo in un interessante progetto in progress al Musas, Museo Storico Archeologico di Santarcangelo, dove insieme all’artista Andreco, ha letteralmente mimetizzato opere contemporanee nella variegata collezione permanente del museo, che include dipinti antichi e reperti archeologici. Progetto che, inaugurato a dicembre 2017 corredato dei testi critici di Helga Marsala, ora in aprile giunge a metà della sua storia, dato che la conclusione è prevista per il 30 settembre di quest’anno.

“Unearth. Portare alla luce” aggiunge a sorpresa sempre nuovi elementi nel corso dei mesi, portando i visitatori a indagare e scoprire dove si possano nascondere: «L’assenza di una reale separazione tra il piano storico e quello contemporaneo consente un approccio non razionale, di disorientamento e inabissamento, fondato sulla seduzione, sull’attenzione e su un tempo aperto».
È chiaro che lo spettatore perde così definitivamente ogni traccia di passività nel suo ruolo, rincorrendo visivamente le opere per trovarle nel vero senso della parola, e per indagarne poi il senso di magico, il misterioso.

Un efficace bilanciamento, quello tra i due artisti e il museo che si pone qui come una terza personalità di uguale peso specifico, in cui il romano Andreco – artista instancabile, ma anche ingegnere ricercatore specializzato in sostenibilità ambientale – trova il contesto per quel mix di rigore e libertà ben espresso da Marsala nel definire il suo percorso: prolifico autore di opere d’arte pubblica, attingendo alle potenzialità espressive del murale, come della performance (esemplificative sono le Parate, rappresentazioni tra arte visiva, teatro e danza rituale) Andreco nelle sue sculture in bronzo riporta la mente ad antiche selci scheggiate che sembrano provenire da una stratigrafia sepolta.

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