Gli ologrammi che sognavamo: capolavori mica da Tresoldi

Tresoldi Basilica Di Siponto

Edoardo Tresoldi, Basilica di Siponto (foto Roberto Conte)

Chi ha vissuto gli anni verdissimi negli iperbolici Ottanta ricorderà la fascinazione delle luci azzurrine che emanavano gli ologrammi: da Star Wars fino a Jem e le Holograms, il nostro immaginario era letteralmente rapito dall’idea di poter scambiare opinioni, chiedere consiglio o salvare il mondo grazie a una conversazione con qualche fantasmagoria luminescente che si trovava dall’altra parte del globo, o addirittura su altri pianeti.

Oggi gli ologrammi hanno ben altre più prosaiche funzioni (anche se c’è chi dice che entro pochissimi anni, con le reti 5G di nuova generazione, queste chiamate “a Yoda” saranno una realtà…) ma chi lo sa perché, quando ho visto l’opera di Edoardo Tresoldi, geniale trentenne classe 1987, il mio pensiero si è tuffato indietro negli anni, quando vedevo il mondo da sotto il metro e cinquanta e la televisione era una scatola magica da cui usciva tutta quella ipnotica fluorescenza.

Non a caso la luce nelle sue opere (che sono concretissime) è l’architetto che scolpisce la consistenza delle reti metalliche su cui si declinano gli stati d’animo. Luci naturali e luci artificiali che si fondono con gli agenti atmosferici e ogni volta generano un umore differente, dando un senso di maestà anche all’anima dei fili che, esilmente, abbracciano grandi volumi e collegano l’opera con il contesto ambientale.
Una lezione di eleganza e meraviglia che ha conosciuto la fama internazionale partendo da Siponto, con il restauro della basilica paleocristiana foggiana che nel 2017 lo ha proiettato nell’Olimpo degli artisti under 30 più influenti (secondo la classifica stilata dalla rivista “Forbes”) oggi viene ripresa ed estesa con un progetto tra Singapore e Forlì che chiama in causa sempre DZ Engineering e Fondazione Dino Zoli.

Così il giovane artista milanese è tornato a mixare tempo e spazio nella più eterea delle architetture, sempre alla ricerca di una dimensione nuova, ma con una sostanziale differenza: «mentre a Siponto l’opera si relaziona con la storia e contiene in nuce quello che ho definito la Rovina Metafisica, il Cube Temple a Singapore è l’espressione del mio spazio cartesiano, la rappresentazione di una proiezione mentale».

Un progetto, quello curato da Nadia Stefanel, che collega il Cube Temple nella Singapore del Gran Premio di Formula 1 alla mostra forlivese della Fondazione Dino Zoli – La Basilica di Siponto di Edoardo Tresoldi. Un racconto tra Rovine, Paesaggio e Luce dal 13 ottobre al 13 gennaio 2019, con inaugurazione sabato 13 ottobre alle 18 – per mezzo di quella rete metallica che l’artista scopre durante gli anni romani, quando lavora come scenografo per il cinema e la tv.
Ne intuisce subito il grande potenziale espressivo, che non si fermerà alle architetture grandiose e leggere, trasformandosi di volta in volta anche in figure pensose, moti rampicanti dove «la Materia Assente innesca dialoghi ininterrotti con lo spazio e la storia» e «ciò che è dissolto, o non è mai esistito, rivive in un tempo non suo».

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