Bacino 13, un romanzo sul passare del tempo tra mistero e quotidiano

Mc Gregor Bacino 13Sono le volpi nel faggeto, le pecore nelle stalle, la luce che si allunga e si accorcia a dare il ritmo a questo originale romanzo pubblicato da Guanda, Bacino 13 dell’autore inglese, ma nato alle Bermuda, Jon McGregor (per la traduzione di Ada Arduini).
Frasi che ripetono come versi formulari danno a questo libro un ritmo tutto suo, dove lo scorrere del tempo amalgama vite, sentimenti, dialoghi, morti, natura, animali, esseri umani.

Romanzo corale, Bacino 13 racconta la vita di un paesino della brughiera inglese accanto al quale sono stati costruiti tredici invasi per l’acqua, circondato da una natura fatta di colline su cui girano pale eoliche, crescono boschi, si aprono gallerie e un numero imprecisato di luoghi potenzialmente pericolosi. Ecco dove potrebbe, in una notte di Capodanno, essere sparita nel nulla una tredicenne. Questo è infatti l’incipit, il fatto: la figlia di una coppia di turisti scompare nel nulla. E per i tredici capitoli successivi, ognuno per ogni anno, il lettore spera di trovare soluzione a quel mistero, così come lo sperano gli abitanti del villaggio che imparano a convivere con quel pensiero. Arriveranno piccole rivelazioni, ipotesi, accuse, ma senza una vera indagine da parte di McGregor che si fa appunto voce del luogo, quasi a fluttuare e osservare gli abitanti che nel corso degli anni invecchiano, si innamorano, si lasciano, si sposano, fanno figli, si iscrivono all’università, si ammalano, si trasferiscono, ritornano, portano a passeggio cani, decorano i pozzi, preparano recite di Natale, vanno al pub e insomma fanno una molteplicità di cose piuttosto quotidiane e comuni.

Ognuno coltiva una propria sofferenza e McGregor tiene una giusta distanza da tutti, avvicinandosi prima all’uno e poi all’altro, come fosse un occhio che vaga di continuo per il paese e a cui capita di fermarsi ora a casa di qualcuno, ora di qualcun altro, magari, ogni tanto, anche della parroca. Abbondano i discorsi indiretti e le forme passive e i “qualcuno vide” o “sentì dire” perché nessuno prende mai la scena: nessuno fa mai qualcosa o dice qualcosa, al massimo viene visto fare qualcosa e sentito dire qualcosa. Scelte che marcano la cifra stilistica e modellano, quasi come il vasaio che nel libro dà forma ai suoi contenitori, una materia di per sé così quotidiana insieme a un mistero che non dà tregua.

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