Grecia-Germania: letture per questa estate

Non è un capolavoro del genere giallo e anzi è difficile considerarlo un capolavoro tout court, ma è un libro gradevole che ha il non trascurabile pregio di offrire una chiave di lettura sulla Grecia d’oggi. L’ulimo romanzo di Petros Markaris (Titoli di coda, traduzione di A. Di Gregorio, Bompiani) mette in scena un’articolata simbologia tra padri e figli, tra passato e presente, tra Grecia e Germania per raccontare la crisi e i suoi devastanti effetti, senza cercare alibi e puntando il dito su colpe e difetti degli ellenici. Dipigendo così un quadro peraltro tremendamente simille a quelle italiano. È infatti una Grecia da cui i giovani fuggono, alle prese con rigurgiti di fascismo e razzismo, di immigrati dal sud del mondo, di corruzione che prolifera in una burocrazia alimentata ad arte, di auto che restano in garage per far tornare i bilanci familiari mentre il protagonista  Kostas Karitos è alle prese con una serie di omicidi che paiono avere una firma politico-economica, che sembrano affondare nella storia del paese. Unica arma di difesa dalla crisi: la famiglia allargata agli amici, la piccola comunità in cui rifugiarsi a sera per prendere fiato dal disastro che c’è là fuori. Dalla Grecia alla Germania, il passo di questi tempi è  quasi obbligato. E per scoprire il lato più umano di un popolo che il cliché vuole freddo e distaccato non c’è nulla di meglio che un romanzo tedesco divertente, commovente, toccante che schiva la retorica con sapiente abilità per restare sempre sul filo di un’ironia sentimentale, mai sarcastica, mai cinica, un sentimento autentico che ha a che fare con l’infanzia, la rappresentazione del mondo che si ha da bambini, l’idea di normalità e follia. Il libro ha un titolo non proprio facile da memorizzare ma, a ben pensarci, piuttosto azzeccato nel senso: Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato. L’autore è Joachim Meyerhoff (tradotto da Giovanna Agabio) che racconta la storia di una famiglia che vive all’interno di un manicomio perché  il padre ne è il direttore. Il punto di vista interno è quella del figlio minore, terzogenito, soggetto ad accessi di collera e con qualche problema scolastico, che parla di una famiglia dove gli ospiti ai compleanni sono pazienti psichiatrici dell’ospedale, gli amici dei giochi sono giganti che girano armati di campane e a un certo punto misteriosamente scompaiono, di una madre dolce, efficiente, gentile che ogni tanto però deve allontanarsi da casa e tornare dai suoi per qualche tempo, per rimettere a posto le cose, in una successione di capitoli brevi, episodi esilaranti, crepe che lasciano immaginare sofferenze profonde. Molte cose il lettore, come il protagonista, le capirà solo abbandonata l’innocenza infantile e solo acquisito quello sguardo adulto che arriva verso il fondo del libro in un finale intriso di quella melanconia agrodolce che spesso accompagna i ricordi d’infanzia.

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