Il metaromanzo di Bruno Arpaia che evoca il “fantasma dei fatti”

 Arpaia Fantasma Dei FattiUn romanzo che è anche metaromanzo, perché dentro ci troviamo anche la storia di come è nato e cresciuto e, in parte, fallito. Bruno Arpaia sceglie questo doppio binario per il suo ultimo libro, Il fantasma dei fatti, edito come sempre da Guanda.

Da un lato i fatti raccolti in anni di ricerche, consultando volumi, articoli, esperti del settore. E i fatti sono quelli dell’Italia degli anni Sessanta, di quel filo sottotraccia che l’ha legata agli Stati Uniti, un’Italia che con Olivetti e Mattei sarebbe potuta diventare una grande potenza mondiale, ma che tale non è stata per una serie di “incidenti”.
E se per Mattei ormai abbiamo ormai la certezza che non si trattò appunto di evento casuale, cosa può aver provocato l’infarto di Olivetti? E l’incidente del suo ingegnere Tchou fu davero tale? Che ruolo ha avuto la Cia? E gli inglesi? Cosa c’entra tutto questo con l’assassinio di Kennedy?

A raccontarci una possibile versione dei fatti è un agente greco, Tom K, realmente esistito, e che Arpaia immagina a colloquio con due “colleghi” più giovani nella sua casa in Canada, nel suo ultimo giorno di vita.
Dall’altra lui stesso e il suo travaglio come autore, le difficoltà economiche. Davvero desolante la descrizione della situazione editoriale dopo la grande crisi, incredibile che uno come Bruno Arpaia, scrittore, giornalista, intellettuale classe 1957, non riesca a vivere serenamente del suo lavoro.
E anche un po’ desolante, concedetemi, l’idea che per lui la traduzione sia soprattutto un modo per sbarcare il lunario (male) e un impedimento al suo lavoro di scrittore essendo lui, peraltro, il traduttore tra gli altri di Aramburu per intenderci. Vediamo la sofferenza nella perdita dell’amico Peppe D’Avanzo, il grande giornalista di “Repubblica”.
Le riflessioni, molto interessanti, su cosa sia e debba essere un romanzo, sul ruolo della narrativa, forse la parte in assoluto più appassionante del libro. Due piani che sembrano paralleli, ma ci accorgeremo che finiscono per convergere.

Una lettura, come lui stesso dice, per certi versi fuori tempo massimo, di un’epoca che sembra ormai veramente remota e di una storia tutta politica che suona davvero lontanissima per quanto sia inevitabile pensare ancora oggi che se Mattei e Olivetti fossero riusciti entrambi a raggiungere i rispetti obiettivi, gli equilibri geopolitici del mondo e il ruolo dell’Italia e forse del Mediteranneo tutto sarebbe stato ben diverso e diverso sarebbe il nostro presente.
Quelle che Arpaia mette in fila sono infatti soprattutto “sliding doors” della storia del Novecento.

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