Patria, un immenso romanzo destinato a una lunga vita

PATRIACandidato a più premi, Patria di Fernando Aramburu (edizioni Guanda) è davvero un caso letterario, un libro vastissimo destinato a restare nel tempo, a diventare senza ombra di dubbio un “long-seller” anche in questa editoria frenetica. Dentro c’è la storia di due famiglie, di nove individui, di un intero paese tra San Sebastiàn e Bilbao e forse di tutte le lotte armate di stampo terroristico. C’è uno scrittore che appare verso la fine del romanzo a darci la sua poetica, che è quella di Aramburu stesso quando dice: «Ho cercato di evitare i pericoli che ritengo più gravi in questo tipo di letteratura: i toni patetici, sentimentalistici, dal un lato; dall’altro, la tentazione di fermare il racconto per prendere in maniera esplicita una posizione politica». Un tentativo perfettamente riuscito.

La vicenda copre molti decenni che vanno dall’insorgere della lotta armata per l’Eta fino al definitivo addio alle armi. Da una parte la famiglia di una vittima, dove ogni membro elabora la condizione in cui viene a trovarsi, dall’altra la famiglia di un combattente. È un romanzo che intreccia le storie di queste persone, tutte inevitabilmente segnate da quella condizione in cui si trovano loro malgrado e che racconta anche come intere esistenze possono modificarsi in modo ineludibile e imprevedibile dopo un evento traumatico. Fatti e fatterelli, vite quotidiane e pensieri, il romanzo racconta donne dure che per la famiglia sono pronte a tutto ma che a stento concedono una carezza (magnifico l’incipit con lo sguardo giudicante di una madre ormai anziana verso la figlia 45enne), racconta figli fragili, uomini adulti in difficoltà.

E affronta grandi temi che intrecciano il piano storico a quello intimo. È possibile una vera riappacificazione? È possibile chiudere un cerchio? È possibile rinascere a più di quarant’anni? È possibile condividere un dolore? Capitoli brevi, continui ma non geometrici cambi di punto di vista e narrazione, una voce interna vicina ai tanti protagonisti, che ogni tanto senza avvisare scivola nella prima persona  per una frase di poche parole, per poi tornare al racconto. Uno stile che a tratti sembra quello di un appunto frettoloso dove lo scrittore resta indeciso tra quale parola scegliere, un discorso diretto senza virgolette. Una scrittura a volte nervosa ma sempre controllata e capace anche di grande morbidezza e armonia.

Tradotto dallo scrittore Bruno Arpaia, il testo italiano è costellato di parole in basco e di qualche errore sintattico voluto e reiterato che cerca per quanto può di restituire anche il senso di una terra e di un’appartenenza che passa attraverso una lingua priva di letteratura, o quasi, come quella basca. Con le sue 626 pagine (nessuna di troppo), Patria merita tutti i premi che ha vinto e che vincerà. Da quest’angolo di Europa ormai fuori dalle cronache quotidiane, una lezione di narrativa al mondo interno.

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