Una protagonista fuori dai cliché per un thriller molto psicologico

Intruso FrenchPoiché dei finali dei libri non si può parlare mai e dei finali dei gialli ancora meno, basterà dire che metà delle ragioni per cui vale la pena leggere L’intruso di Tana French (Einaudi, traduzione di Alfredo Colitto) è proprio nelle ultime 50 pagine. Lì i fili si riannodano, tutto trova un posto e soprattutto la protagonista, la detective Antoniette Conway è costretta a rivedere un po’ delle posizione assunte e date per buone durante il libro. Nel finale si scioglie una tensione accumulata per 624 pagine in un crescendo costante o quasi.

Tutto inizia con quello che sembra un “caso domestico”, una ragazza ammazzata da un fidanzato per diventare un giallo vero e proprio su cui a indagare saranno appunto Antoniette, che narra in prima persona, e il suo partner Steve, nel cuore di una Dublino senza folklore irlandese, se non per qualche sortita nei pub. Personaggio sfaccetato e complesso, Antoniette è però un narratore interno, una prima persona, a tratti antipatica e fastidiosa perché tende a occupare tutta la scena e non sempre è affidabile, presa come è da vicende che in realtà tende a occultare. Nella sua freddezza, nel suo costante calcolo, nella sua quotidiana lotta contro il machismo e i crudeli soprusi e dispetti di tutti i colleghi (eccetto Steven Moran), contro il pregiudizio, in quell’alzarsi all’alba per andare a correre, in quei tailleur eleganti e in quella Audi 80 TT sentiamo la fatica dell’essere una bella donna di colore nella squadra Omicidi della capitale irlandese.

E il libro ha l’immenso pregio di non avere per una volta il detective amato segretamente da tutti, un po’ brutto ma affascinante, scontroso ma in fondo dolce e via discorrendo, l’effetto è che a volte, durante la lettura, verrebbe voglia di riposarsi un po’. E soprattutto di far parlare qualcun altro, di far tacere il flusso di pensieri nella testa di Antoniette, di immedesimarsi, insomma, in un personaggio meno spigoloso. E questo è un indubbio merito che va riconosciuto a Tana French, la complessità della costruzione psicologica dei personaggi è accurata e verosimile e mai compiacente, anzi a tratti spigolosa e fastidiosa. Antoniette, il cui sogno era sempre stato quello di entrare nella Omi­cidi e diventare detective, ci spiega anche dall’interno il lavoro sui testimoni, sui presunti colpevoli, l’eccitazione del caso da risolvere.

E la trama tiene, anche se forse potevano bastare qualche decina di pagina in meno, perché insomma, siamo lungi dai migliori Jo Nesbo, ma sicuramente nell’alveo dei thriller appassionanti dove pullulano sospetti, false piste, personaggi ambigui, ma il gioco degli incastri non diventa mai fine a se stesso (come nei peggiori Jo Nesbo). In Irlanda questo L’intruso è il secondo libro con Antoniette e Steve. E dal finale è facile capire che non sarà l’ultimo.

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