Un cinghiale modellato dalla lingua

Elogiato se non osannato da molti al momento dell’uscita, Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci (Minimum Fax, 452 pp, marzo 2016) è oggi nella prima dozzina scelta per lo Strega 2016 ma non è certo per questo che merita attenzione. Questo romanzo di uno degli autori del film Non essere cattivo di Claudio Caligari è infatti per molti versi sorprendente. Ma attenzione a non farvi ingannare dal titolo molto pop, leggerlo non è una passeggiata. È innanzittutto scritto in una lingua ricchissima, con passaggi di virtuosismo stilistico da restare ammirati, una capacità di rendere complesso il pensiero, di penetrare l’istante, di creare ponti tra presente e passato e possibili futuri modellato attraverso un uso sapiente della sintassi. «E invece gli appare, come l’elce che gli copre le spalle, l’immagine sorridente della Sonia. Non la bacerà mai; almeno in questo contesto spaziotemporale. Forse, in una delle tante esistenze, in una delle smazzate tridimensionali nel cui ventaglio siamo casualmente appicciati a milioni, a miliardi, ci sarà un qualche durante del cazzo più bello, più affascinante  che – non vogliamo dire ci fa l’amore, troppagrazia – ma che almeno una volta, due sarebbe l’ideale (perché alla foga della scoperta si potrebbe unire la nostalgia futura del ricordo ribadito), la Sonia l’ha baciata». Ecco, questo per rendere l’idea di quanto si diceva. Tutto questo esercizio di stile, nel senso alto del termine, per dar forma appunto a un pensiero più ancora che a una narrazione, fatta di episodi quotidiani, della vita di un borgo immaginario in Toscana, Corsignano, dove per la verità nulla di particolare accade tra i personaggi che sono amici, parenti, amanti e conducono una vita tutto sommato ordinaria che diventa straordinaria solo grazie all’intervento appunto dell’autore. A essere invece straordinaria come vera e propria invenzione narrativa, come personaggio è sicuramente Apperbohr, il cinghiale appunto, che durante una notte in cui due umani guardano il celeberrimo film con John Wayne (raccontata in una dozzina di puntate che si alternano ad altri capitoli in un continuo avanti e indietro temporale a cavallo del millennio) lui acquisisce un elemento umano, in particolare il linguaggio, e comincia a dar forma a pensieri e sensazioni, financo sentimenti. Una metafora profonda dell’essere? Sicuramente un elemento che ci interroga a livello filosofico del pensiero e a tratti ci diverte anche, un contrasto tra l’umano e il non umano, tra il verbale e il non verbale, non banale ma forse non sufficiente per rendere, agli occhi di   lettori profani e amanti delle buone storie, siano esse micro o macro poco importa, il romanzo davvero appassionante in quanto tale.

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