Un piccolo gioiello di romanzo di formazione

Gli Anni InvisibiliUn piccolo gioiello di costruzione, montaggio, scrittura, introspezione, riflessione e suspense. Gli anni invisibili di Rodrigo Hasbún, tradotto da Giulia Zavagna ed edito da Sur – ormai indiscusso punto di riferimento per la letteratura in particolare sudamericana – è tutto questo.
E non solo. Perché in effetti è innanzitutto un mirabile esempio di “romanzo di formazione” dedicato all’età di passaggio per eccellenza e al sempre affascinante tema della perdita dell’innocenza.

L’adolescenza di un gruppo di ragazzi boliviani in gran parte benestanti, lontani dalle contraddizioni economiche e sociali che li circondano (ma che pure appaiono) è esplorata da punti di vista non convenzionali pur raccontandoci storie che rasentano il cliché (l’insegnante e l’allievo, la gravidanza indesiderata, i genitori in altre faccende affaccendati).

Ma ciò che vale da solo la lettura del libro è l’abilità con cui Hasbún monta i salti temporali che ci portano a vent’anni dopo i fatti, in un gioco di rimandi tra (presunta) realtà e finzione, tra narratore e personaggi, tra autobiografia e narrativa. Dentro c’è però anche molto altro: la scoperta dell’amore, del sesso, dell’amicizia, della fedeltà, della complicità, della violenza sono tratteggiati con poche pennellate profonde, dialoghi, situazioni e dettagli scelti con cura che ci permettono di ricostruire un mondo fatto anche di tante assenze (in primis degli adulti).

Un libro sui grandi temi tante volte affrontati eppure in qualche modo nuovo, capace di non risultare mai di maniera. E così possiamo tornare a farci le “solite” grande domande, trovando magari risposte non scontate sulle possibilità della vita, sulle occasioni perdute, sulle ferite che non si rimarginano, sul ruolo del caso e della sorte nel diventare gli adulti che siamo. Quanto conta il passato? Quanto resta degli anni invisibili in ciò che ci troviamo a vivere a quarant’anni? O quanto un singolo episodio può cambiare e modificare per sempre le nostre esistenze? E ancora: quanto siamo ciò che siamo stati o quanto siamo invece ciò che ancora riusciamo a immaginare per il nostro futuro?

Una lettura che scava nei personaggi con abilità chirurgica usando l’escamotage della suspense: capiamo ben presto che dovrà accadere qualcosa di decisivo, anzi sappiamo che è accaduto, lo aspettiamo, lo temiamo e quando lo scopriamo siamo però privati di qualsiasi consolazione. Questo libro non è infatti un giallo, non è nemmeno un noir, ma piuttosto si incentra sulla ricomposizione prima e dopo un fatto traumatico attraverso il tempo, osservato anche nelle schegge più indirette, come in una sorta di caleidoscopio dai colori a tratti sfumati e dagli incastri perfetti.

Classe 1981, Hasbún è anche sceneggiatore e tra i più amati autori boliviani della sua generazione. Di lui Sur aveva già pubblicato nel 2016 Andarsene.

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