Mary Shelley: molto più di una biografia

La Donna Che Scrisse Frankenstein LNF

La storia è ovviamente nota, ma non per questo meno appassionante. Il libro dell’argentina Esther Cross La donna che scrisse Frankenstein (tradotto in italiano dallo spagnolo da Serena Bianchi per La Nuova frontiera) è un piccolo gioiello di scrittura che ripercorre le vicende di Mary Shelley nel contesto dell’epoca regalandoci un viaggio nel primo ottocento inglese, nella cronaca nera e nella storia della medicina e della Londra previttoriana e, ovviamente, nella storia della letteratura della vecchia Europa in quel turbine che fu il periodo noto come “romanticismo”.

Le incredibili vicende dalla figlia della leggendaria Mary Wollstonecraft, morta poco dopo averla data alla luce e a cui si deve ovviamente il nome, si intrecciano naturalmente e innanzitutto con Percy B. Shelley. Mary si innamorerà di lui a sedici anni e con lui fuggirà dall’Inghilterra, dove resteranno invece la di lui moglie (poi suicida) e due figli. Una vita costellata di fatiche, lutti, malattie, debiti, viaggi e dal successo del romanzo che cambia la storia della letteratura e per cui sarà comunque per sempre nota. Il contesto, come noto, è quello di un’epoca di grandi progressi medici, degli esperimenti di Galvani e della “fame di cadaveri” per poter eseguire autopsie. Qui questo mondo viene raccontato con vividezza e precisione, non a caso il libro si apre su un cimitero, anzi due, quello cattolico di Roma dove sono sepolte le ceneri di Shelley, ma non il suo cuore, che Mary portò con sé per tutta la vita come una reliquia e che ora è con lei a Bournemouth.

Il tema delle reliquie attraversa il libro di Cross per farci capire meglio il gusto di un’epoca. Brevi capitoli, scrittura rapida, ripetizioni che ci fanno rivedere lo stesso evento sotto prospettive diverse fanno di questa biografia un breve saggio (siamo sotto le 150 pagine) da leggere tutto d’un fiato. Al di là della vita di Mary, c’è la vita della sua opera, la sua riduzione teatrale, le interpretazioni, le modifiche rispetto all’originale che sono poi passate nell’immaginario collettivo, la questione del “non-nome”. Il libro apre quindi un piccolo spiraglio anche in quel sempre mirabolante e mutevole meccanismo che finisce per selezionare e decretare i successi letterari di un’epoca. Imperdibili anche i capitoli dedicati all’amico Lord Byron, figura che qui acquisisce quello status quasi “diabolico” per cui era celebre in vita e che per noi ravennati non può che assumere un certo particolare fascino, data la recente inaugurazione di un museo a lui dedicato nel palazzo dove visse e dove Shelley stesso venne a trovarlo. Di Ravenna il poeta inglese scrisse proprio alla moglie in alcune lettere, mentre Mary qui, purtroppo, non ebbe occasione di venire.

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