Accademia Bizantina ha di recente sfornato un disco di sicuro interesse. Rivolgendo la propria attenzione verso il repertorio sinfonico del primo Ottocento, l’orchestra, specializzata nell’esecuzione della musica del Sei-Settecento, esce dalla propria comfort zone e fornisce con Imprinting la propria idea di performance della musica tedesca di quel ventennio compreso tra il 1830 e il 1850. L’inglesismo, imperante fin dal titolo, sembra essere giustificato da una precisa strategia di commercializzazione alla quale si è tentati di ascrivere anche questo sconfinamento della Bizantina verso il primo Romanticismo.
Di sicuro è un disco interessante perché lontano da ciò che si è soliti ascoltare quando si prendono in mano titoli come la Renana di Schumann o l’Italiana di Mendelssohn. È importante capire come avvicinarsi a questo disco, non si può e non si deve acquistare a cuor leggero, si rischia di non apprezzarlo e di detestarne la musica, peccato imperdonabile. L’azione di Ottavio Dantone, che guida l’orchestra ravennate, è precisa, netta e scrupolosa e, questo è palese fin dal primo attacco, volta a creare una continuità con quel lessico galante già assai praticato sul finire del Settecento. Ciò permette di vedere questo disco come un’ipotesi di esecuzione storica. Si sentono, infatti, chiaramente le sfumature timbriche degli strumenti d’epoca che donano un sapore autentico, così come la corda in budello sotto gli archi aumenta la ricchezza timbrica dell’orchestra.
Questo, talvolta, si trasforma in un boomerang quando, per esempio, i corni naturali ritornano a essere quegli strumenti indomiti che erano prima delle ultime innovazioni tecnologiche che li trasformarono nei moderni corni. Anche l’impasto degli archi, a tratti, risulta poco omogeneo rispetto alla comune pratica su questo repertorio: se per certi versi può essere un distintivo di verosimiglianza, per altri inficia il piacere dell’ascolto che, a dirla tutta, non è sempre così godevole. Al netto della scelta del La4 di riferimento (lontano e dai barocchi 415 Hz e dai mozartiani 430 Hz) capita, infatti, di sentire qua e là qualche nota che, sfoderando il bilancino dell’intonazione, non è proprio perfetta.
Tutto ciò lo si può ignorare per indulgere, invece, sull’interpretazione che, scevra di quell’enfasi solitamente fastidiosamente abusata in questo repertorio, offre sforzati, crescendi, dinamiche che colorano d’interesse queste pagine davvero note a tutto il pubblico. Merita quindi di essere comprato questo disco? Decisamente sì per due motivi, godersi la bellezza e allenare la mente.