Ce ne fossero di dischi così “galanti” e raffinati

I secoli passati ci hanno tramandato tanti tesori, tuttavia molti ancora sono serbati in bauli polverosi che il tempo occulta e, a suo agio, decide di far rivivere quando meglio crede, secondo un disegno misterioso e segreto.

Ciò che a noi, passeggeri di questa nave blu sospesa nel vuoto cosmico, appare casuale per il tempo è, probabilmente, solo una conseguenza. Proprio in virtù di questa presunta casualità alla quale l’umanità ha sempre cercato di dare un senso e un ordine, queste colonne non ospitano oggi la recensione di un disco dal titolo roboante, dal nome noto, dall’artista di grido.

Oggi qui si vuole accendere una luce su un particolare compositore, esponente della capitale della cultura musicale del Settecento: ovviamente è una città italiana e ovviamente non può che essere Napoli, con buona pace di tutte le altre che, per quanto importanti, non potevano all’epoca competere con la città alle pendici del Vesuvio, basterà ricordare che nel 1700 Partenope vegliava su ben quattro conservatori!
Figlio di questa città, non anagraficamente proprio come tanti altri musicisti, ma per formazione e ascendenza stilistica fu Michele Mascitti.

Nato in Abruzzo, studiò a Napoli con Pietro Marchitelli e in seguito venne in contatto con Arcangelo Corelli del quale assorbì la lezione senza però diventarne un epigono, mantenendo, pur nell’archetipo corelliano, la propria identità forgiata respirando la spuma salmastra che irride Castel dell’Ovo.

La raccolta di sonate opera nona è, probabilmente, la sintesi tra queste due anime racchiuse nell’arte compositoria di Mascitti: in essa, nonostante il ruolo da protagonista sia appannaggio del violino, è palese sin dal Larghetto della prima sonata il ruolo non secondario del basso continuo, scritto secondo una visione violoncellocentrica.

Il disco del Quartetto Vanvitelli uscito nel 2020 per Arcana rende perfettamente quella dimensione galante dell’epoca.
Il gusto dei quattro musicisti si sposa perfettamente con una musica dal sapore raffinato, equilibrato e mai eccessivo nel virtuosismo fine a sé stesso, ideale per i palati che all’epoca doveva accarezzare, quelli delle sale nobili dell’Ancien Régime.

L’esperienza d’ascolto si completa con un libretto denso (non pesante, si badi bene!) di notizie storiche, scritto da un Guido Olivieri in stato di grazia. Ce ne fossero di questi dischi…

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