Quartetto Guadagnini: bella musica anche se l’energia sulle corde si spreca

Quartetto GuadagniLa musica da camera è la risorsa più intima e preziosa di cui ogni compositore dispone. In ogni era musicale, infatti, è stata la scrittura cameristica a ricoprire il ruolo di saggio per issarsi nell’olimpo della composizione: madrigale, trio sonata, quartetto sono sicuramente le più celebri forme che nel corso della storia hanno dominato l’intimità dei musicisti. Recentemente, nel Ridotto del Teatro Angelo Masini di Faenza ha preso vita un concerto incentrato proprio sul quartetto d’archi e sul rapporto tra questo e il pianoforte: protagonisti della serata sono stati il Quartetto Guadagnini e Sandro De Palma.

L’apertura del concerto è stata, per il pubblico in sala, un’esperienza traumatica: il brano Aria di Silvia Colasanti, quintetto per pianoforte e archi, era dominato da cluster che annichilivano qualsiasi anelito di linea melodica si facesse largo tra la scrittura. Ciò che ne rimaneva era uno stridìo come di ferodi al quale si aggiungeva il balenare delicato del pianoforte che si infiltrava come liquido sinoviale tra gli attriti degli archi.

Cuore del concerto il Quartetto K. 465 di Wolfgang Amadeus Mozart noto come Le dissonanze. Nell’esecuzione di questa pagina così famosa il Guadagnini appare rodato da una notevole abitudine al palcoscenico, tuttavia si percepisce la muscolarità a tratti eccessiva nella lettura della partitura mozartiana. Proprio a questo proposito è interessante scorrere l’ultima riga del curriculum del quartetto, riportata nel programma di sala. In essa, infatti, appare (in parte) la causa di questa poco efebica attitudine sonora: i quattro musicisti sono endorser della Jargar Strings, ossia hanno una collaborazione che ne fa rappresentanti e utilizzatori delle corde prodotte dalla ditta danese. La qualità di queste corde si muove proprio nella direzione dell’estrema sonorità e proiezione che, se in un teatro da più di mille posti può essere sensata, in una sala stretta e lunga come quella del Masini appare eccessiva e stordente.

Dopo un breve intervallo il brano conclusivo del concerto è stato il Quintetto in fa minore di César Franck nel quale il suono di De Palma, ricco e avvolgente, trascendeva i limiti timbrici del pianoforte e trasfigurava l’esecuzione regalando al pubblico faentino l’emozione del fraseggio che altrimenti sarebbe stata sacrificata sull’altare della sovrapposizione di piani sonori.

Bis. Tanti per tanti musicisti. Dapprima il Guadagnini col primo tempo del Quartetto K. 80 del Salisburghese e poi il pianista con 3 brevissime e pirotecniche sonate di Domenico Cimarosa. Bella musica per un luogo incantevole.

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