Ivo Pogorelich, interprete eclettico ma non sempre aguzzo sul pezzo

Ivo PogorelichLa lezione è semplice: suonare un pot-pourri di brani di diverso periodo storico all’interno di uno stesso concerto è oramai oltremodo rischioso e foriero di sorprese non sempre gradite.

Il concerto tenuto dal celebre pianista Ivo Pogorelich il 29 novembre sul palco del teatro Masini di Faenza all’interno dell’Emilia Romagna Festival è un emblema di questa lezione. Programma variopinto e multigenere: dall’ultimo barocco fino all’Ars gallica.
Una forbice di circa 200 anni che ha permesso al pubblico faentino di ascoltare composizioni di ogni periodo storico riconosciuto e accettato nei concerti pubblici dai direttori artistici delle stagioni italiane, tuttavia non è semplice per l’esecutore esporre non solo la propria interpretazione, ma anche la propria conoscenza dei vari stili musicali all’interno di un simile progetto.

Nel programma eseguito dalle dita del pianista serbo chi soffre della mescita tra brani concettualmente e storicamente lontani è la Suite inglese n. 3 in sol minore BWV 808 di Johann Sebastian Bach. In questo insieme di danze per tastiera, nell’interpretazione di Pogorelich veniva spesso a mancare non solo il piede di danza, tipico di questo genere, ma anche, cosa ben peggiore, un senso strutturale e formale che trasformava la composizione in una sorta di elaborato esercizio di dattilografia sonora.

Più centrata, invece, la lettura della Sonata in si bemolle maggiore op. 22 di Ludwig van Beethoven che grazie all’interpretazione di Pogorelich si riappropriava della sua genesi, agli albori di un Romanticismo ancora in embrione, cullato nel grembo del Classicismo, con sonorità apollinee, ma non prive di una certa dose di espressività.

La stessa espressività che era, invece, assai presente nella seconda parte del concerto aperto dalla Barcarolle in fa diesis maggiore op. 60 e dal Prélude in do diesis minore op. 45 di Fryderyk Chopin interpretati in maniera intensa, ma piacevolmente non muscolare, grandiosa, ma non enfaticamente titanica, prima del celeberrimo Gaspard de la nuit “trois poèmes pur piano d’après Aloysius Bertrand” di Maurice Ravel del quale il pianista balcanico ha potuto mettere alla luce tutta la timbrica trasognante che il pianismo francese ricercava e amava sul calare dell’Ottocento.

Il concerto è stato peculiare anche per alcune note a margine: il pianista, in frac, con a fianco, udite udite, un voltapagine, cosa assai rara nei recital di solo pianoforte dove è uso vedere gli esecutori cimentarsi in un (in)utile esercizio di memoria.
Tra il pubblico, invece poche cravatte, qualche jeans strappato e, purtroppo, qualcuno che russava. Sarà per questo che il pianista non ha concesso bis?

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