La ricca tavolozza espressiva di Stefano Montanari, incredibile violinista… e direttore

Stefano Montanari (foto Zani Casadio)

Ci sono concerti che si possono descrivere, ci sono concerti che è meglio non descrivere, e poi ci sono concerti ai quali mancare è peccato mortale. In quest’ultima categoria rientra il concerto di Stefano Montanari “ed i suoi amici” imperniato sulla prima parte della raccolta di sonate op.5 di Arcangelo Corelli. Ravenna Festival conclude la rassegna interna dedicata al compositore fusignanese con un concerto di incredibile bellezza.

Senza nemmeno un posto libero, la basilica di sant’Apollinare Nuovo è stata la cornice perfetta di un’esecuzione che ha lasciato senza parole la platea composta anche da molte facce note nel panorama della musica storicamente informata. Montanari ha dipinto col suo strumento un quadro incredibilmente convincente della propria lettura delle sonate da chiesa corelliane, sebbene talvolta le diminuzioni abbacinassero talmente l’orecchio da occultare l’architettura del maestro fusignanese.

La più evidente tra le scelte che fanno intendere la rottura con il consueto uso della sonata come composizione (più o meno) democratica si manifesta già dalla posizione che il violinista occupa durante l’esecuzione: al centro di un semicerchio creato da tiorba, violone, organo clavicembalo e violoncello. Avvolto da un basso continuo così ricco, il suono di Montanari si libra leggero, sostenuto dal supporto fondamentale dei suoi sodali. Così facendo, egli non è solo esecutore, ma si ricollega alla tradizione dei direttori-violinisti che tanta fortuna ebbero prima che si affermasse (dapprima in Europa e poi in Italia, soprattutto grazie ad Angelo Mariani) la figura del direttore libero da compiti sonori. Proprio la carriera di Montanari è ormai declinata anche sul versante della direzione. Nel campo musicale le malelingue affermano che il motivo per il quale un valente solista svolta verso la carriera da direttore è da ricercarsi nell’involuzione della tecnica strumentale. Nel caso di Stefano Montanari è bello poter affermare il contrario, cioè che aggiungendo la bacchetta agli strumenti dominati da questo incredibile violinista, la sua tavolozza espressiva si è arricchita di sfumature tra le più gradevoli e raffinate.

Spesso la musica antica è bollata come banale e raramente è considerata alla pari della muscolare musica romantica, ma per carpire il significato profondo di questa sterminata letteratura è necessaria una sensibilità ed una profondità di lettura almeno eguale a quella dovuta al repertorio convenzionale. Proprio per questo sono importanti serate come questa, per sensibilizzare il gusto al bello.

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