Stimolanti concerti inusuali e inediti a “Rossini open”, fra classica e contemporanea

Quartetto Archi Toscanini Mariangela Guatieri

Il quartetto d’archi della Filarmonica Toscanini (con al centro la poetessa Mariangela Gualtieri) nell’esecuzione dell’opera di Silvia Colasanti “È breve il tempo che resta” per la rassegna Rossini Open

Settimana intensa quella che ha appena vissuto il teatro Rossini di Lugo. Sul palco due spettacoli musicali della rassegna Rossini Open, un contenitore con tanti sapori differenti al suo interno, che hanno offerto agli spettatori una interessante carrellata di aromi grazie alle due serate che, con gusti differenti, hanno titillato le papille gustative dedicate alla bellezza musicale.

La serata di giovedì 3 novembre era tutta incentrata sulla figura di Gioacchino Rossini e ad aprire il sipario sonoro sono stati i 5 Duetti per corno, scritti dal compositore nel periodo compreso tra il soggiorno lughese e gli studi bolognesi. Il programma è proseguito con la Serenata in mi bemolle maggiore per flauto, oboe, corno inglese e quartetto d’archi, in cui si sente la mano esperta dell’operista. Il soprannome che Rossini aveva durante i suoi studi, il Tedeschino (dovuto alla sua passione per i compositori germanofoni del secondo Settecento), è stato, invece, omaggiato con la Serenata in do minore K388 per ottetto di fiati composta da Wolfgang Amadeus Mozart durante i suoi primi anni viennesi. Racchiuse tra queste importanti composizioni, le due trascrizioni delle sinfonie dall’Italiana in Algeri e dal Barbiere di Siviglia per ottetto di fiati a cura di Claudio Cavallin hanno sofferto nell’accostamento con i brani di così notevoli autori.

Le esecuzioni, affidate ai membri di diversi gruppi da camera dell’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, non hanno brillato particolarmente, non rendendo la giusta dimensione della figura rossiniana. Nelle composizioni del pesarese, infatti, i giovani musicisti risultavano incerti, dimostrandosi a tratti anche impacciati nelle più semplici azioni (una per tutte: attaccare insieme) e minimizzando anche quei tratti stilistici precipui dello stile rossiniano, come, ad esempio, i celebri crescendo. Tutti questi discorsi, però, non valgono per la serenata mozartiana, brano interpretato, invece, con gusto ed eleganza, lasciando l’impressione che non fossero cambiati solo i compositori, ma anche (e soprattutto) i musicisti.

Sabato 5 novebre, invece, il teatro si è riempito di note nuove, dell’opera È breve il tempo che resta, nate dalla mente di Silvia Colasanti, tra le più affermate compositrici italiane del nostro tempo. Sul palco un sestetto inusitato, ma assai ben assortito: al Quartetto d’archi “I Concertini” della Filarmonica Arturo Toscanini, infatti, si aggiungevano le percussioni di Tommaso Salvadori e Mariangela Gualtieri, la poetessa e attrice cesenate (Teatro della Valdoca) che, con la sua voce, recitava i testi da lei pensati per questo spettacolo.

I tanti fischi prescritti dalla Colasanti non sono, qui, espedienti atti a stupire, ma si integrano perfettamente nel tessuto sonoro del quale divengono parte imprescindibile. Nonostante l’evidente superamento tonale, la scrittura non si riduce a uno schema vuoto, ma rivendica una sorta di impressionismo timbrico nel quale la compositrice non lesina, però, temi cantabili di pregevole fattura, quasi a rivendicare con orgoglio il retaggio del Belpaese. Il cromatismo sapientemente sparso in tutta l’opera fornisce il pretesto per quelle direzioni musicali che il quartetto d’archi evidenzia con grande perizia. Tutti gli interpreti, di notevolissimo spessore, hanno offerto agli spettatori (assai indisciplinati e, forse, un po’ insofferenti a un linguaggio sonoro cui le platee non sono avvezze) un suono pungente e, insieme, morbido e vellutato. La dolcezza delle percussioni, inoltre, sposandosi al meglio con il grande equilibrio del quartetto d’archi, rendeva davvero gustoso l’ascolto musicale.
Se c’è da trovare un neo, lo si può ravvisare nella recitazione davvero enfatica dell’attrice che, nei fatti, non si sposava al meglio con l’impianto sonoro delicato e a tratti fragile, grazie anche ai tanti suoni armonici e all’uso dei quarti di tono.

Se è concessa una chiosa, questi spettacoli (invero entrambi piuttosto brevi) sono stati, comunque, un’ottima testimonianza di un teatro che sta riprendendo con grinta la propria attività e che, quindi, si propone come fronte vivo contro il logorio della cultura moderna.

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