Quei musicisti travolti dalla disperazione

Molto spesso da queste colonne si discute sul sesso degli angeli. Parlar di musica, a volte, può essere paragonato a questa attività.

Oggi, tuttavia, si parlerà di coloro che, purtroppo, hanno infoltito le schiere angeliche: quella torma di artisti che, bloccata da ormai un anno a causa di una malattia subdola, non ha potuto più lavorare, quelli che hanno compiuto un atto estremo.

In molti, infatti, abbandonati da un sistema che, in fondo, li vede davvero solo come coloro «che ci fanno tanto divertire», hanno richiuso i propri ferri del mestiere nelle loro custodie e si sono diretti verso il baratro della disperazione senza ritorno.

Quando si parla di musica, soprattutto in Italia, si parla a sproposito. La musica in primis, e l’arte in genere, viene considerata come un bell’orpello utile solo a svagarsi. Certo questa è una delle componenti fondanti dell’arte, ma non è l’unica né è la principale.

Raramente la Storia ha prodotto arte che non avesse, se non un motivo, almeno un significato.

Anche lo stesso divertimento svolge una duplice funzione: oltre a quella, scontata, di allietare gli animi, tiene fede alla sua etimologia (volgere altrove) indirizzando il pensiero verso temi differenti.

Proprio in virtù di questo l’arte, e la musica quindi, non è altro che un potente catalizzatore delle reazioni cognitive e in virtù di ciò, se non indispensabile, è quanto mai importante nella società che tende a demandare ogni processo mentale alla macchina.

Il desolante silenzio delle istituzioni (per bontà d’animo dimentichiamo la becera proposta del Netflix della cultura) di fronte alle suppliche d’aiuto del popolo degli artisti è un chiaro segnale di come l’importanza sociale di questa “attività ricreatoria” sia sottovalutata e marginalizzata tanto che è la società stessa, anestetizzata da decenni di politiche culturofobiche, a non riconoscere questa necessità.

Questa parossistica situazione, oltre a decretare la fine di molte vite, non per mano diretta del virus, sta costringendo molti musicisti (anche assai valenti) a riporre nel baule anni e anni di esperienza, studi e fatiche per gettarsi in imprese lavorative che permettano di riportare sulla tavola almeno il pane. Letteralmente.

C’è da sperare che, presto, queste attività cessino e che gli artisti ritornino a fare ciò che tanto è necessario a questo Paese: ridare ossigeno alle menti.

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