Cappelletti + Hauntology

40215282 10156784393669917 2760128288591446016 NHo sentito dire che Cristiano Ronaldo si chiama così perché suo babbo era un fanatico di Ronald Reagan. Quando l’ho sentito mi è sembrata una cosa senza senso: come può venire a un poveraccio di Madeira di chiamare suo figlio col nome di Reagan? Chi può essere così fan? Poi ci ho pensato bene e, ehm, in effetti conosco almeno un altro fan sfegatato di Reagan. Mio babbo.
Mio babbo, nell’epoca in cui iniziavo a interessarmi alla (rompere il cazzo con la) politica, era straconvinto che Reagan fosse riuscito a vincere la guerra fredda, da solo e senza l’aiuto di nessuno, creando il cosiddetto scudo spaziale. Mio padre era una persona di umili origini e di una mentalità rurale abbastanza comune alle persone cresciute dov’era cresciuto lui: amava le narrazioni politiche in cui veniva identificato IL problema e fornita LA soluzione. Votò con entusiasmo il primo Berlusconi perché aveva promesso che abbassare di un punto percentuale il saggio di sconto era tutto quel che serviva per far volare l’economia italiana.
Oggi sembra tutto un po’ naif, a pensarci bene. Mio babbo era un fervente elettore del Partito Repubblicano Italiano, lo è stato finché ha avuto un briciolo di senso esserlo in Romagna, cioè trent’anni dopo che il PRI aveva smesso di aver senso in tutto il resto d’Italia. Piccolo commerciante di scarso successo, ha condiviso con mia mamma l’incombenza di dover crescere i loro due figli e l’odio feroce per i comunisti. Mio fratello ha seguito il loro pensiero politico, io mi ci sono allontanato di duecento chilometri. Va dato loro atto di non avermi chiamato Riccardo in onore di Nixon, e soprattutto di non avermi rotto il cazzo con la politica di destra quanto io ho rotto il cazzo a loro con la politica di sinistra. La loro elasticità mentale era stata plasmata in un altro contesto storico, il secondo dopoguerra, che hanno vissuto nella sua interezza (entrambi sono nati nel ’39). La prima lezione che hanno imparato: o sei disposto a scendere in piazza a pestare quelli che non la pensano come te, o tanto vale che vai a mangiare il castrato alla loro festa. Il calendario estivo della nostra terra del resto prevedeva giusto un paio di feste dei repubblicani (per esteso: la festa de La Voce Repubblicana, che prendeva il nome del quotidiano del partito) e circa 60 feste dell’Unità. Anche la Festa dell’Unità prende il nome dal quotidiano del partito a cui fa riferimento: la prima viene celebrata nel ’45, poco dopo la fine della guerra, e in qualche modo continua a venire celebrata.

ImageL’ossatura della festa è inutile spiegarla a un pubblico di introdotti quali voi immagino siate: dev’esserci un posto dove farla (un prato qualsiasi, magari un campo da pallone), uno staff di volontari più o meno agguerriti e uno stand gastronomico. Ad essi possono aggiungersi una serie di comizi/pipponi/panel politici, o comunque li vogliate chiamare, e un cartellone di eventi più o meno simpatetici. Le feste dell’Unità fornivano il contesto per lo sviluppo della scena di liscio romagnolo: ogni sera un’orchestra, per tante sere, in tante feste. C’era spazio per tutti. Anche i miei genitori andavano occasionalmente a ballare. Ricordo certe serate in questi palchi giganteschi: un dj passava dei classici con la gente seduta ai tavoli intorno al quadrato, e c’era questo ragazzo down che ballava da solo sulla pista con in braccio una compagna immaginaria. Poi l’orchestra saliva sul palco e la gente occupava la pista, a volte c’era il contest, a volte si ballava e basta. Qualcuno del gruppo annunciava il ritmo del pezzo che andava ad eseguire (“questo è un valzer, questa è una polka, adesso facciamo una mazurka”; mai capita la differenza), le coppie ballavano, i mariti ruttavano i radicchi con la cipolla, le mogli scoreggiavano le patatine fritte, i bambini a bordo pista s’inseguivano con le pistole ad acqua e combinavano rutti e scoregge.

Cappelletti Al Ragu 2

Quando ero ragazzo la festa dei repubblicani non c’era più. Con i ragazzi del mio paese organizzavamo spedizioni punitive a tutte le feste dell’Unità rimaste, dividendo i calendari affidandoci ad indici di gradimento abbastanza condivisi in tutto il cesenate. Il cambio generazionale aveva ridotto le quantità di liscio ed aumentato le quantità di tutto-il-resto: autoscontri, musica da autoscontri, più birra e meno vino, eccetera. Dal mio paese eravamo capaci di spostarci anche in cinquanta, ognuno con la sua moto sotto al culo – vespe truccate, ciao truccati, college truccati; gli scooter truccati sono arrivati poco dopo e hanno portato via in modo drastico la generazione di moto truccate che li aveva preceduti. Alla festa dell’Unità si andava a fare a botte. La dinamica era la seguente: qualcuno del nostro paese trovava da dire (espressione romagnola traducibile ma meravigliosa) con qualcuno del paese vicino al nostro, o viceversa. Casus belli stupidissimi, tipo “te hai fatto il figo con la mia morosa”, “cazzo dici, io non ci ho mai parlato con la mia morosa”, “mi dai del bugiardo?”. Iniziava una sorta di trattativa che serviva in parte a stabilire chi era lo stronzo, e in parte a compattare i gruppi dietro a ognuno dei due litiganti. Quando si arrivava a 50 contro 50 si era abbastanza sbronzi e abbastanza fomentati da iniziare a fare le botte – che a quel punto erano diventate una specie di formalità – i due litiganti si menavano fortissimo, qualcuno li separava, gli altri 98 si scambiavano due spinte a testa. Se andava malissimo qualcuno portava a casa un graffio, il che in prospettiva rendeva quelle risse molto più sicure di quanto lo fosse tornare a casa tirando ai 120/h una vespina 50 da ubriachi, ovviamente passando dai monti per evitare le pattuglie. Poi siamo cresciuti e abbiamo abbandonato le feste dell’Unità, lasciandole ad un destino avverso che ha falciato il nome della festa (tutte le volte che leggevo LA GRANDE FESTA su un volantino volevo prendere la vespa e andare a picchiare qualcuno), oltre ovviamente a tutta l’esperienza PCI/PDS. Il liscio è ridotto al lumicino, con poche orchestre non così tanto attive e una marea di disoccupati con qualche buona storia in CV. Le autoscontro se la passano maluccio, a quanto ne so, e sono decenni che non vedo un punching ball in giro. La Vespa ha subito un reboot, le feste di paese oggi celebrano soprattutto la birra in se stessa. Le risse 50-contro-50 tra stupidi per ragioni insensate sopravvivono nei programmi dell’attuale governo. Lo stand gastronomico, meglio se gestito su base volontaria, continua a prosperare ad ogni evento, perché la gente ha senz’altro bisogno di riscoprire i valori fondanti della nostra società ma vuole soprattutto mangiare i cappelletti e il castrato.

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